Un paio di giorni fa, l’Ufficio scolastico territoriale di Cagliari ha pubblicato le Gae e le graduatorie provinciali per le supplenze, che dovrebbero essere state rettificate sulla base delle segnalazioni di errori, reclami, e verifiche effettuate dai dirigenti scolastici delle scuole dove i docenti hanno svolto il primo servizio di insegnamento.
Chi ha ancora l’illusione, durissima a morire, che in Italia esista ancora uno Stato dotato di una pubblica amministrazione, ha dovuto suo malgrado ricredersi subito. Molti hanno dovuto constatare che i loro reclami e le loro segnalazioni non hanno sortito alcun effetto. Compaiono ancora in prima fascia docenti non abilitati; i punteggi errati di molti docenti non sono stati corretti; in diverse graduatorie restano anche i docenti che sono entrati in ruolo. E che hanno la possibilità di fare istanza per le nomine di supplenza inquinando il sistema.
Naturalmente l’amministrazione segue in modo preciso le tempistiche del ministero.
Ai docenti vincitori di concorso sono stati due giorni per scegliere le provincie e poi tre per la scelta di una sede che determinerà la vita professionale e quindi le condizioni materiali di esistenza per uno, due, tre, o molti anni. Anche lontano da casa. Non ha importanza se ci sono persone malate, che hanno avuto un problema o che per un paio di giorni sono rimaste non collegate al mondo burocratico. Per eseguire la tempistica e procedere, la burocrazia funziona come un orologio svizzero. Ma non per dare informazioni corrette, istruzioni, risposte a dubbi o quesiti o per risolvere problemi irresolubili dal singolo. Per questi compiti, cioè per offrire servizi, l’amministrazione non è attrezzata, non ha né uomini né risorse sufficienti: i docenti, come gli ATA, devono sapersela cavare da sé, conoscere le norme, interpretare anche quelle ambigue o illogiche, senza un’indicazione ministeriale, e poi darvi applicazione corretta; devono saper usare in modo perfetto le piattaforme online, sempre nuove in modo dare un aspetto di freschezza al grigiore burocratico, e cangianti anche in corso d’opera per miglioramenti estetici.
E ciò indipendentemente dalla buona volontà dei singoli impiegati e funzionari, perlopiù estranei, e innocentemente inesperti delle inutili complicazioni normative e informatiche con cui ogni docente deve confrontarsi se vuole soltanto aspirare a lavorare, e perdipiù ha l’impudenza e la tracotanza di voler insegnare.
In questa situazione di partenza, già sperimentata, anche questa estate si è dato avvio alle istanze per la scelta delle sedi ai fini della “informatizzazione delle nomine di supplenze”. Con largo anticipo rispetto al passato. Ovviamente non è dato nemmeno sapere quali saranno le sedi disponibili: la scelta deve essere fatta al buio, e deve essere preveggente. Ogni docente deve essere un piccolo Tiresia. Chi non lo è, o fa male i calcoli senza avere i dati per farli, sarà condannato a non lavorare. Peggio per lui. L’amministrazione non è mai responsabile di nulla.
Perché chi opererà le assegnazioni di sede non è un essere umano, ma un algoritmo impietoso che assegna incrociando l’ordine di graduatoria e l’ordine delle preferenze espresse dagli “aspiranti”.
E guai a chi nella indicazione delle sedi ne omette anche una sola, perché non facilmente raggiungibile, magari perché sprovvisto di auto, o abbia un problema personale o familiare, o abbia osato addirittura avere figli, privilegio ormai incompatibile con il mestiere di insegnante, sempre più simile alla condizione di viandante. Chi omette anche una sola sede, rischia che il premuroso algoritmo non si accorga della sua carnale esistenza al mondo e della sua disponibiltà -troppo limitata- a insegnare. Per quest’anno occuperà un ruolo nell’esercito di riserva, essenziale a rendere possibile bassi stipendi e massima disponibilità alle condizioni di lavoro, anche alle peggiori.
Niente di nuovo sotto il sole cocente di luglio duemila ventitré.
Andrea De Giorgi, Cobas Scuola Cagliari
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