La scuola estiva è davvero impossibile? Merita un approfondimento l’argomento scuole aperte d’estate che in prima battuta, stando alle recenti dichiarazioni del Ministro Valditara, ha rimandato più ad una chiacchiera da ombrellone che ad un serio proposito. Ciò in quanto le perplessità in merito sono tante, a partire dallo stato delle infrastrutture scolastiche che non consente di intrattenere i ragazzi quando le temperature iniziano a salire. E allora vediamo cosa si dovrebbe fare per rendere effettiva una misura del genere, che sarebbe di certo un grande aiuto per le famiglie in difficoltà nel periodo estivo, quando i comuni mortali continuano a lavorare e l’intrattenimento dei figli, in particolare i bambini, diventa un problema anche e soprattutto di natura economica.

A rispondere alle domande del caso è l’ingegnere meccanico ad indirizzo termotecnico Luca Pauletti, impegnato nel settore della ventilazione e del condizionamento dal 1992, membro dei comitati tecnici nazionali CT241 sulla revisione della norma UNI10339, relativa a IAQ e ventilazione degli ambienti, e del CT272 sui sistemi di automazione degli edifici, nonché socio e membro del Direttivo di AICARR, principale associazione italiana di condizionamento dell’aria.
Ing. Pauletti si può tenere aperta una scuola d’estate?
Ad oggi non esiste una legge che impedisca l’apertura delle scuole quando le temperature sono superiori ad un certo valore, tuttavia parliamo di comfort estivo in presenza di temperature massime comprese fra i 25 e i 27 gradi centigradi, oltre i quali si passa al discomfort, che rende chiaramente impossibili attività complesse come quelle dell’apprendimento. L’INPS si è espressa in proposito, per i lavoratori, con il messaggio 2729 del 20.07.23, che autorizza il datore di lavoro a ricorrere alla Cassa Integrazione quando la temperatura percepita è superiore ai 35 gradi, oppure sia incompatibile con le specifiche attività svolte dai dipendenti.
Cosa dovrebbero fare le scuole per consentire l’apertura estiva?
Non solo le scuole ma tutti gli edifici pubblici devono essere dotati di impianti di climatizzazione e ventilazione, richiedendo al Governo uno sforzo straordinario di adeguamento (o rinnovo) del parco immobiliare da attuarsi in decenni. Un piano straordinario che avrebbe dovuto essere attuato col PNRR o strumenti simili.
Il problema è che per centinaia di anni l’attenzione del legislatore (e nostra) è stata rivolta solo al sistema di RISCALDAMENTO degli edifici e delle abitazioni. Oggi tuttavia il Global Warming ed il conseguente innalzamento delle temperature medie estive (oramai non più solo estive!) rende inderogabile la necessità di definire standard minimi per il raffrescamento in tutti gli edifici.
Esistono soluzioni alternative ai classici condizionatori?
– Certo, partiamo dal presupposto che in molte città italiane (ndr. città esclusivamente del Centro Nord) esiste il teleriscaldamento, ossia gli edifici di interi quartieri non hanno la caldaia, ma sono “allacciati” ad un unico impianto centralizzato che produce acqua calda (e in molti casi anche elettricità – impianti di cogenerazione) a partire da Gas o elettricità. Ebbene allo stesso modo si dovrebbe puntare sull’omologo del teleriscaldamento, ovvero il teleraffrescamento in cui, al contrario, il sistema distribuisce acqua fredda prodotta in modo centralizzato in un edificio apposito. La produzione centralizzata rende tutto molto più efficiente e, nel caso estivo, non richiede la presenza di condizionatori split, che in molti casi non sono consentiti dalle regole condominiali o dalle Belle Arti (nei centri storici). L’Italia dovrebbe essere la nazione capofila del teleraffrescamento, unica soluzione in grado di garantire il raffrescamento in centri urbani e storici, senza deturpare gli edifici con centinaia di cassette esterne, e facendolo soprattutto in modo efficiente e sostenibile.

Nel salutare e ringraziare l’ing. Pauletti immagino scuole in cui, in attesa di attivarsi a rendere l’indoor  agibile e sano lungo tutto l’anno solare, inizino, lì dove gli spazi lo consentano in sicurezza, a concentrarsi nell’immediato sull’outdoor piantando alberi per aumentare la frescura nelle giornate estive e favorire l’aumento di zone d’ombra in cui le singole scuole potrebbero, con una spesa esigua, creare spazi idonei a svolgere attività all’aperto. Ci sarebbe poi il discorso del personale da impiegare e del materiale didattico che, specialmente nel caso dei bambini della Primaria, andrebbe adattato al periodo. Tutto ciò rivedendo anche le pause nel corso dell’anno scolastico, argomento già affrontato nell’articolo della collega Stefania Sambataro adeguando il nostro Paese alla media europea, tasto dolente già in tema di stipendi. Insomma la scuola estiva è possibile, tuttavia su base volontaria, come ottimisticamente prospettato da Valditara, nelle condizioni in cui versano oggi le nostre scuole italiane sarebbe un attentato alla salute di alunni e personale scolastico. L’invito è sempre lo stesso: non perseverare nell’errore commesso sin qui di non considerare che gli investimenti in campo scolastico non sono mai finalizzati unicamente al benessere della Scuola ma a quello della intera collettività.

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