Come vorrebbe essere ricordata Michela Murgia? Certamente sorridendo. È di quel sorriso che vorrei parlare, di quanto ha sempre e nonostante tutto rappresentato la sua vita e il suo pensiero. Michela Murgia sorrideva sempre, anche quando pronunciava parole scomode, a volte solo perché libere, lei sorrideva. E sorrideva dalla sua casa, dalla cucina, dai banchi di una conferenza, di un convegno, in tv, nelle sale in cui presentava i suoi libri, lei sorrideva persino dal letto dell’ospedale da cui ogni tanto faceva ultimamente capolino per dire cose mai banali, mai eccessive seppur profondissime e graffianti, come la sua voce delicata e soave che emetteva in modo sempre autorevole e fermo. Da una voce così, quasi un pianissimo, non ci si attende tanto peso.
Michela Murgia ci ha rassicurati dal primo giorno in cui ha deciso di rendere pubblica la sua malattia su quanto fosse preparata a lasciare questa terra e su quanto lei fosse contenta della sua vita che ne valeva 10, che le aveva consentito di fare cose che la maggior parte delle persone non si sogna nemmeno di riuscire a fare e di non aver mai smesso di cercare la felicità: ci ha rassicurati proprio con il suo sorriso, convinta che sarebbe bastato a farci sentire meno il distacco, il vuoto, il dolore per la sua dipartita. Michela Murgia col suo sorriso ha provato a proteggere le persone care, la sua famiglia futuristica e tutti noi che ascoltavamo il suo pensiero, condividendolo o meno, sul femminismo, sulla politica, sui pericoli della destra e l’inconsistenza della sinistra, e faceva tutto sorridendo. Ultimamente aveva provato a renderci partecipi del suo matrimonio, un atto politico, come lei stessa lo aveva definito, perché senza un contratto non avrebbe potuto mettere al sicuro il suo patrimonio e le persone a lei care, un gruppo eterogeneo unito da amore, interessi comuni, solidarietà e mutua assistenza, del quale però la maggior parte di noi ha capito ben poco, perché Michela Murgia era avanti anni luce, ed aveva ben chiaro che i legami veri non sono necessariamente quelli di sangue e che la libera espressione dell’individuo passa innanzitutto per la libera scelta di chi amare e di chi tenere al proprio fianco lungo il cammino senza l’imposizione biologica dei legami di sangue, che spesso sono l’antitesi della libertà individuale.
La Murgia aveva capito che in una famiglia da cui non ci si sente amati o protetti è meglio fuggire, piuttosto che restare inchiodati al muro dell’ omerta’ che ci impedisce di decodificare il nostro malessere come una banale repulsione nei confronti di persone tossiche, anche se sono madri, padri, fratelli e sorelle. A quella tradizionale lei aveva contrapposto la sua idea di famiglia queer, che ci lascia in eredità come un prototipo che lei pero’ nel tempo avrebbe potuto e dovuto spiegarci meglio. Come avrebbe dovuto e potuto fare ancora tantissimo su questa terra, sempre a suo modo, illuminato, controcorrente, libero, e sempre col suo sorriso, con cui ha provato a rincuorarci, senza esserci riuscita.

Elvira Fisichella
Napoletana, docente di ruolo dal 2015 in Diritto ed Economia politica. Studi classici, laureata alla Federico II in Scienze Politiche con indirizzo politico-sociale, ed al Conservatorio di San Pietro a Majella in Discipline musicali con indirizzo canto e coralità. Nella sua formazione hanno sempre convissuto il diritto, la musica e la comunicazione in tutte le sue forme. Ha una lunga esperienza come speaker radiofonica presso una importante emittente del sud e più di recente in una web radio, ha condotto programmi tv in ambito regionale ed è stata imprenditrice nel settore fieristico e di organizzazione di eventi. A scuola si è occupata, fra l’altro, di dispersione scolastica, elearning, inclusione. Nell’estate del 2022 ha insegnato lingua italiana ai bambini ucraini rifugiati a Napoli. Da gennaio 2023 e’ fra gli autori della testata on line “La Voce della scuola live”, con il suo personale contributo su scuola e società.