Come tutti sanno, l’ anno scolastico finisce il 31 agosto. Quale occasione migliore del ferragosto, quindi, per il doveroso bilancio dell’ anno trascorso ed i tradizionali buoni propositi per l’ anno che sta arrivando?
Per la verità a prima vista non sembrerebbe esserci nulla di particolare nell’ anno appena trascorso. Organici risicati, strutture discutibili, precariato stabile… e le polemiche sul contratto, sui sindacati sempre meno amati, sulla politica sempre più autoreferenziale. Insomma, un anno (almeno a prima vista) in perfetta continuità con i decenni che lo hanno preceduto.
Certo, c’ è il nuovo Governo, il più a destra di sempre. E c’ è anche un nuovo contratto, onestamente più somigliante al topolino che alla montagna del popolare detto.
Ma allora come sarà la scuola che verrà? Proviamo a ritrovare in 7 parole chiave, un filo rosso che tenga insieme i pezzi della scuola che osserviamo giorno per giorno, decifrando l’ apparente caos che sembrerebbe caratterizzarla per capire quali sono i processi reali che la governano davvero.
1 – PNRR
La prima parola chiave è necessariamente PNRR. Sarebbe l’ acronimo di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pacchetto di prestiti per svariati miliardi di euro concordato dall’ Unione Europea per gli stati membri come risposta alla pandemia da COVID-19. Complice forse l’ abuso del concetto di resilienza (che di per sé vorrebbe dire semplicemente la capacità di reagire ai colpi bassi della vita) nessuno sa in realtà cosa voglia dire precisamente l’ abusata sigletta. Certo è che la si ritrova in ogni chiarimento sulle ipotesi di abusi del Potere, accompagnato dall’ inevitabile rassicurazione che «andrà tutto bene».
Il sospetto è che in realtà il PNRR sia sì la risposta comune ai danni economici della pandemia, ma sia inequivocabilmente anche un’ accelerazione forzata verso un progetto di ‘governabilità neoliberale’ europea (come dice ad esempio l’ Associazione Italiana dei Professori di Diritto Amministrativo) sul modello dei paesi guida dell’ UE.
Sospetto che, più degli altri, proprio i progetti su scuola e istruzione sembrano confermare. Detto in soldoni, la scuola che viene fuori dai piani di attuazione del PNRR (approvati sotto la guida del suo profeta italiano, Mario Draghi) è una scuola nella quale l’ otium lascia spazio al negotium, da intendersi come un processo di produttività continua dei cittadini, le cui risorse vanno calibrate sugli esiti produttivi attesi.
2 – SUPPLENTITE
E’ il modo con il quale il potere politico pronuncia il termine (forse più adeguato) «precariato». Dire «supplentite» piuttosto che «precariato» (come spiegava già il Matteo Renzi della «Buona Scuola» dal 2014) significa guardare il fenomeno dei duecentomila contratti di supplenza necessari ogni anno per far funzionare le scuole, come un problema nell’ erogazione del “servizio scolastico” reso a studenti e famiglie. Da risolvere quindi “valorizzando” quello che c’ è a suon di bonus (e magari aumento di carichi lavorativi), in omaggio ai numeri concordati in sede ‘Euro’, dove un numero di dipendenti a tempo indeterminato più piccolo permette equilibri altrimenti da ricalcolare.
E pazienza se nel 2014 la «supplentite» constava di 105 mila precari, mentre nel 2023, dopo quasi un decennio di interventi annunciati sistematicamente come risolutivi, il numero è quasi raddoppiato.
3 – ORGANICI
E’ la terza parola chiave. Se ogni anno il ricorso ad un precariato-monstre (pardòn, «supplentite-monstre» di cui sopra) è il modo con il quale la scuola riesce a stare aperta, il giudizio della politica da qualche decennio è sostanzialmente lo stesso: troppo personale a tempo indeterminato.
Lo richiederebbe anche il PNRR. Che in realtà in sé e per sé non si avventurerebbe su crinali così specifici, ma la sua realizzazione italiana è stata disposta anche su questa strada. E’ un fatto che, giusto per fare un esempio, il DL 36 del 2022 ha messo nero su bianco la riduzione dell’ organico del personale docente da qui al 2031, prevedendo fino all’ ultima unità, anno per anno, una riduzione progressiva di diecimila docenti nella scuola italiana. O che, altro esempio, quest’ anno il personale ATA andato in pensione è stato rimpiazzato soltanto per un terzo da nuove immissioni.
«Ma era il Governo di Draghi» direte voi. Fermamente all’ opposizione soltanto Giorgia Meloni, che adesso ha le redini in mano… Macché… ci aiuta a capire la quarta parola chiave, che stavolta è un nome.
4 – GIORGIA MELONI
Mentre il mainstream mediatico si attardava all’ indomani delle elezioni di fine estate, sulla nuova leader italiana, sulla pertinenza della definizione di ex o neo fascista o sulla sua autodefinizione di conservatrice; bollata di nostalgie del ventennio o di essere una sovranista amica dei sovranisti, il governo di destra-centro da lei guidato prendeva saldamente in mano le redini della politica italiana passando attraverso la benedizione dell’ Unione Europea rassicurata da una promessa al momento più che mantenuta: la continuità del nuovo governo con quello che lo aveva preceduto sui temi economici ed in particolare sul PNRR.
E in effetti, neanche il tempo di finire di contare i voti, che la draghizzazione di Giorgia era cosa fatta. Scrive Claudio Cerasa su “Il Foglio” del 13 luglio: «Un anno fa cadeva Draghi. Un anno dopo il partito più in continuità con il programma di quel governo è l’unico che stava all’opposizione». In pratica quella che era stata l’ Agenda Draghi è diventata, meno di un anno dopo l’ insediamento del nuovo Governo, l’ Agenda Draghi-Meloni. Ucraina, Superbonus, Reddito di cittadinanza, codice degli appalti, price cap, concorrenza, rigassificatori, riforma fiscale: basta rileggere l’ ultimo discorso di Draghi al Senato per capire.
Va detto che in realtà, proprio sulla scuola, l’ attività del Governo è oggettivamente attenta a quello che succede nelle scuole e molte volte è riuscita a dare risposte ad esigenze reali. Ma bisognerà farsene una ragione: il quadro nel quale muoversi è quello del meccanismo di realizzazione del PNRR stabilito, sul quale non si può tornare indietro senza perdere soldi (e credibilità) e per questo concepito come inattaccabile da chiunque fosse approdato a palazzo Chigi. Anche se fosse stata “la Giorgia” che, non a caso, di rinegoziazioni non parla ormai più.
5 – DIMENSIONAMENTO
La quinta parola chiave spiega meglio di altre in cosa consisterà l’ accelerazione della riforma strutturale della scuola che dovrebbe prendere consistenza a partire proprio dall’ anno scolastico che sta arrivando.
Le indicazioni dell’Ue, legate all’ erogazione dei fondi del Pnrr, stabiliscono che la rete scolastica vada dimensionata adeguatamente all’andamento demografico della popolazione studentesca. In Italia il principio si traduce nella necessità di stabilire ogni quanti studenti si possa attivare una scuola completamente autonoma.
Fino ad oggi la questione era stata posta diverse volte, approdando ad “italiche” soluzioni che tenessero conto non solo del numero di allievi, ma anche di altre questioni. Alcune dichiarabili (le famose ‘complessità’), altre meno (come l’ impatto economico della scuola in zone caratterizzate da un mercato del lavoro debole). Soluzioni che, tenuto conto della situazione, risultavano funzionali al cosiddetto Sistema-Paese. Unico difetto: il numero di allievi come criterio di spesa non era certamente il parametro centrale nella programmazione.
Nel 2009 una legge prevedeva che il numero di allievi per scuola si stabilisse con un decreto della presidenza della Repubblica (dpr) d’intesa con le Regioni (perché il dimensionamento era diventato materia comune alle Regioni dopo la riforma del Titolo V della Costituzione).
L’accordo tra Stato (o meglio, il Ministero dell’Economia) e le Regioni non venne mai trovato con le Regioni ferme all’ ipotesi di un’istituzione scolastica ogni 900 alunni, ed il ministero dell’Economia fermo ad una ogni 1.000. In attesa dell’emanazione del dpr (mai arrivato) fu il Parlamento a stabilire i criteri di dimensionamento che poi sono quelli vigenti fino a quest’ anno: almeno 600 studenti – 400 nelle zone montane – per avere un preside e un direttore amministrativo. Sotto queste soglie, le scuole sono affidate in reggenza (in pratica DS e DSGA supplenti).
Con Draghi arriva l’ accelerazione, al grido “è il PNRR che lo vuole” (anche se abbiamo visto che nel PNRR non è scritto proprio così da nessuna parte, a dire il vero). A giugno la Conferenza Stato-Regioni dichiara di aver raggiunto un accordo sui numeri: il MEF autorizzerà un numero di scuole proporzionale al numero di allievi per ogni Regione, poi le Regioni distribuiranno come vogliono le autonomie, tenendo conto dei numeri autorizzati centralmente ma calibrando la consistenza sugli specifici territori. I numeri sono quelli immaginati da anni: tra 900 e 1000. Poi cade il Governo.
Il Governo appena insediatosi decide di gettare il cuore oltre l’ ostacolo e nella legge di Bilancio non aspetta la Conferenza Stato-Regioni (un ritardo, dice, causerebbe la perdita del pagamento della prossima rata del PNRR da parte dell’ UE). Dal 2024 le Regioni dovranno scegliere come distribuire le autonomie calcolate ed autorizzate dal MEF. Annunciano ricorso Campania, Puglia, Sicilia e Calabria, le regioni che perderanno un numero sostanzioso di autonomie con le nuove regole, insieme alla Toscana e all’Emilia Romagna che contestano la procedura che ha scavalcato la Conferenza Stato Regioni.
L’ anno che sta arrivando ci dirà se quei ricorsi sono fondati e soprattutto se le autonomie saranno dimensionate secondo le nuove regole come annunciato.
6 – INVALSI E QUESTIONE MERIDIONALE
Di qualche settimana fa l’ usuale notizia bomba: una parte consistente degli studenti non capisce quello che legge, di matematica non ne parliamo e via dicendo. Unito ai dati dei voti finali agli esami di maturità torna la trita riscoperta del ‘gap’ nord-sud. Nord più preparato ma con voti più bassi. Il contrario al Sud con l’ evidente inadeguatezza della scuola meridionale alle logiche di mercato. Una nuova Questione Meridionale, quindi? No. Piuttosto la presa d’ atto degli effetti della solita vecchia Questione Meridionale. Che, con buona pace di chi l’ aveva data per oramai tramontata, c’ è ancora e non si risolverà con le riforme della scuola.
7 – STUDENTI E FAMIGLIE
L’ ultimo nodo della scuola che verrà è quello del rapporto con gli studenti e le loro famiglie. Senza rivangare quell’ antico passato in cui scuola e famiglia collaboravano come il lupo con l’ agnello a bordo dell’ Arca di Noé, va preso atto che se la scuola è un “servizio”, quel servizio deve soddisfare desiderata ed esigenze delle famiglie. E gli studenti non sono altro che i clienti diretti di un servizio il cui ruolo viene gestito da chi ne esercita legittimamente la patria potestà.
Il nodo è contenuto nel CCNL appena firmato (ma già scaduto): la famosa ‘Comunità Educante’, quel mitico luogo nel quale tutti collaborano al bene comune nell’ educazione dei ‘ggiovani’. Bella, se non fosse niente più che un’ invenzione letteraria, a guardar da vicino. Anzitutto per un motivo macroscopico quanto ovvio: non è chiaro come possano famiglie e studenti essere parte di una comunità legalmente costituitasi in un contratto di lavoro. E poi per la non meno macroscopica perdita di autorevolezza della scuola e di chi ci lavora nella struttura sociale reale (del resto lavorare a scuola è stato ed è un ripiego malpagato nell’ immaginario collettivo degli ultimi vent’ anni).
Ma è soprattutto la concezione della scuola come un “servizio alle famiglie”. Per cui i voti vanno tenuti alti per non pregiudicare il futuro dei pargoli geniali, le scuole vanno tenute aperte d’ estate per favorire le famiglie che lavorano. E così via. In un non detto nel quale famiglie e studenti clienti, hanno sempre ragione.
Norberto Gallo, napoletano, insegna Storia e Filosofia nei licei dal 1997. Giornalista, ha collaborato con numerose testate giornalistiche, televisioni e radio locali.
Nel 2002 ha fondato e diretto napolionline.org, testata giornalistica sulla politica napoletana della seconda repubblica. Al suo attivo numerose interviste con i big della politica locale e nazionale: Antonio Di Pietro, Antonio Bassolino, Piero Fassino, Mara Carfagna, Luigi De Magistris, Roberto Fico, Gianni Lettieri e tanti altri.
Sindacalista della scuola, si è occupato di legislazione scolastica, di contrattazione sindacale, di precariato e del quadro delle riforme della scuola nell’ ultimo ventennio
L’anno che sta arrivando?
Buio, dalla tua lucida analisi che condivido pienamente.
[…] di Bilancio 2022 e 2023 non prevedono risorse per il comparto pubblico. Sicuramente come ha scritto N. Gallo il PNRR condizionerà significativamente le decisioni politiche a favore di una maggiore […]