elvira fisichella

Ogn’anno, il due novembre, c’é l’usanza
Per i defunti andare al Cimitero
Ognuno l’adda fa’ chesta crianza
Ognuno adda tene’ chistu penziero

‘A Livella del Principe Antonio de Curtis , in arte Toto’, è poesia universale senza tempo, è contemporaneamente lezione di storia, filosofia, diritto, letteratura ed arte drammatica. Non a caso si insegna nelle scuole sin dall’infanzia, tuttavia il suo contenuto non si richiama mai abbastanza ogni volta che la cronaca ci imporrebbe di farlo. Ogni anno sono tanti i “2 novembre” che celebriamo: il prossimo 25 novembre sarà un altro “2 novembre” perché si ricorderanno le donne vittime della follia omicida degli uomini; il 27 gennaio è un “2 novembre” perché si ricordano i morti della Shoa; l’8 marzo è un “2 novembre” perché si ricordano le operaie vittime di un incendio in una fabbrica di New York, e l’elenco potrebbe continuare, senza considerare che ogni giorno si ricorda la scomparsa di qualche personaggio famoso in vita quando ricorre la data in cui ci ha lasciati. Di base poi, ognuno ha i suoi morti, e per quello non serve nemmeno una ricorrenza per celebrarli perché quelli a noi più cari ci mancano ogni giorno, a volte in modo insopportabile. Se dunque abbiamo così tante occasioni per ricordare i morti, viene da chiedersi perché non ricordiamo mai abbastanza che sono tutti uguali, che la morte è una “Livella” che ci riguarderà tutti allo stesso identico modo. Ancora oggi riusciamo a fare differenze fra i morti, specialmente quando si parla di guerra. A proposito del conflitto in Medio Oriente, riusciamo a considerare i morti di Israele più gravi di quelli della Palestina, come se fossero più morti gli uni che gli altri, il che naturalmente si rifà all’importanza che noi gli attribuiamo quando sono in vita. Più un essere umano ha peso in vita maggiore importanza avrà da morto. Tuttavia quel peso è quasi sempre soggettivo e, fatta eccezione per i nostri cari o per rare personalità di spicco universalmente riconosciute tali, è legato a questioni culturali e politiche che non hanno nulla a che vedere con la morte in sé. Per tale motivo per alcuni oggi le vittime di Israele valgono più di quelle della Palestina, al punto che si arriva all’assurdo di considerare “antisemita” chiunque esprima humana pietas per i morti palestinesi solo perché lo ha espresso pubblicamente, ma i morti sono morti ovunque, se ammazzati è anche peggio e se poi sono bambini è truce e pertanto inaccettabile. Se non ne siamo capaci noi, insegniamo almeno ai nostri figli a ripudiare qualunque forma di guerra, senza schieramenti, senza dover risalire alla causa e ancor prima di aver scomodato la storia: l’unica cosa che conta e’ che la violenza è inutile e nessuna guerra ha mai risolto un bel nulla senza generare più danni che benefici. Insegniamo che in ogni guerra vittima e carnefice si alternano in un macabro gioco di ruoli e di potere che ci rende, prima ancora che vincitori o vinti, semplicemente disumani.
Un testo come ‘A Livella dovrebbe ricordarci proprio questo, che non c’è alcuna differenza e alcuna giustifica per considerare un morto più morto di un altro, e di fronte ai morti ammazzati ci dovremmo indignare tutti allo stesso identico modo, diversamente, come diceva il grande Toto’, sono tutte pagliacciate.
Sti pagliacciate ‘e fanno sulo ‘e vive
Nuje simmo serie, appartenimmo à morte.

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