Il profilo cognitivo dei nativi digitali, quelle generazioni di ragazzi cresciuti tra l’ informatica e l’ uso sistematico di smartphone e PC, è molto simile a quello dei dislessici, da cui potremmo ispirarci per cambiare i modelli di insegnamento scolastici.
È quanto emerso nel convegno “Come prevenire le difficoltà di apprendimento degli alunni con Dsa e non, valorizzando attitudini e talenti”, organizzato oggi dall’associazione Il Laribinto Progetti Dislessia Onlus nell’ambito della XII edizione di EXPO Training 2023.
“I nativi digitali crescono con un sistema nervoso diverso e una diversa visione della vita in confronto alle generazioni precedenti – spiega Rossella Grenci, ricercatrice nel campo dei DSA, logopedista dell’Azienda Ospedaliera San Carlo di Potenza-.
Vedono il sapere come un processo dinamico, apprendono per esperienza e per approssimazioni successive, imparano dagli errori e attraverso l’esplorazione. Hanno un approccio open source e cooperativo alle fonti del sapere. Sono dunque più veloci nel prendere decisioni, ma deboli nel pensiero metodico e accurato”, chiarisce. Serve dunque un cambio di impostazione dell’insegnamento nelle scuole ancora organizzato intorno a “modelli arcaici”, basati su memorizzazione automatica, lezioni e interrogazioni. “Secondo questa visione si aprono nuove vie sia per chi ha un DSA (oltre il 5% dei bambini tra scuola primaria e secondaria), sia dei nativi digitali- sottolinea Maria Dimita, presidente dell’Associazione Il Laribinto Progetti Dislessia-. Necessario scegliere pratiche didattiche coerenti con i modelli della società digitale”, sottolinea Dimita. Tra i casi esemplari, il laboratorio pilota sperimentato in una scuola d’infanzia di Milano ideato da Angela Zerbino, logopedista relazionale dell’età evolutiva. “E’ un laboratorio ludico-didattico, secondo il modello del giocoguidato, per la costruzione e il potenziamento dei prerequisiti cognitivi e strumentali degli apprendimenti della letto-scrittura”, conclude Zerbino.
ANSA

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