L’annuncio della vittoria del giovanissimo rapper napoletano Emanuele Palumbo, di Secondigliano, in arte Geolier, di soli 23 anni, per la serata delle «cover», in coppia con Gué, Luché e Gigi d’Alessio, ha dato libero sfogo al più volgare e becero sentimento razzista, che serpeggia, eccome, nel nostro Paese, a tutti i livelli. Lo sfogo anti-napoletano si è scatenato non soltanto nella platea dell’Ariston, ma anche nel web, con fischi e urla a scena aperta, e con decine e decine di articoli offensivi e codardi, apparsi nel web (alcuni dei quali hanno pure trovato spazio su testate giornalistiche storiche… del Nord Italia). Geolier, tra i big di Sanremo, in questa edizione 2024, ha portato al Festival la canzone «I p’ me, tu p’ te». Forse, è proprio questa la vera ragione dei fischi della serata delle cover, e cioè il fastidio del pubblico (borghese e nazionale) presente in sala (e comodamente sprofondato nei comodi salotti di casa) nei confronti di un artista che ha scelto di partecipare al Festival con un brano fortemente caratterizzato dall’utilizzo (artistico) del napoletano, in quanto idioma espressivo di un’intera “nazione”. Il dialetto, infatti, da un punto di vista scientifico, qualunque dialetto, non soltanto quello napoletano, o quello bergamasco, qualunque dialetto, da Nord a Sud, non è solo un vettore espressivo, uno strumento della comunicazione, no, esso è anche e sempre (direi, soprattutto) lo strumento per esprimere una visione del mondo e dei rapporti umani. Attraverso il dialetto, infatti, che è la lingua materna di ciascuno noi, viene visto e interpretato il mondo. è con gli occhi del dialetto che noi guardiamo alla nostra vita e ai nostri sentimenti più puri e profondi.
Ci tocca prendere atto che, ancora una volta, nel 2024, nonostante tutta la (ipocrita) retorica della e sulla Nazione italiana, il dileggio, gli insulti, e l’offesa lanciati pavidamente nei confronti di una legittima scelta artistica e linguistica, fatta dal giovanissimo Geolier, siano lo sfogo di quella pancia della nostra Nazione, che non riesce a crescere, e a diventare adulta. Del resto, Geolier ha vinto la serata delle cover non per indicazione divina, ma per effetto di una votazione. Quei fischi hanno ricordato le accuse, i dileggi, gli insulti, e gli scorni che, nei decenni scorsi, hanno subito artisti del calibro di un Troisi, o di un Totò, per le loro analoghe rispettive scelte linguistiche e artistiche, fatte e portate avanti sempre con coraggio, e con onestà intellettuale, così come, oggi, ha fatto Geolier. Occorre pure ricordare che nel 2023 Geolier è stato tra i musicisti più venduti in Italia (non a Napoli, ma in Italia). Ai fischiatori di sala e ai codardi di tastiera, desidero dedicare un verso della canzone di Geolier «I p’ me, tu p’ te» (portata a Sanremo e accettata da Amadeus, in fase istruttoria):
A felicità quant cost si e sord na ponn accatta
La felicità è fatta di semplici gesti, che non hanno prezzo. Come il semplice gesto che il “piccolo” Geolier ha saputo fare dinanzi ai fischi e agli insulti: non scomporsi e restare semplice. E questo è quel che conta, come lezione che un “piccolo” cantante di Secondigliano ha saputo dare all’Italia intera.
Alba Parietti, poi, per conto suo, con i suoi commenti sull’accaduto, nel tentativo di giustificare quei fischi e quelle reazioni razziste, ha perso una preziosa occasione per tacere, senza inseguire, anche su questa brutta pagina dell’Ariston, attimi di pubblicità gratuita. A suo modo di vedere, infatti, i fischi alzatisi dalla platea dell’Ariston, all’annuncio della (meritatissima) vittoria di Geolier, non sarebbero da imputare al razzismo, ma all’età di chi ha fischiato (cioè, fischiatori non giovanissimi, e quindi, non in linea con il genere musical-canoro di Geolier). Sempre la Parietti, inoltre, ha provato a fornire una ulteriore tesi interpretativa (dei fischi razzisti), e cioè che la platea avrebbe fischiato solo per esprimere la sua preferenza nei confronti di Angelina Mango. Oppure, terza tesi interpretativa della generosa Parietti, la platea avrebbe fischiato perché, sin dalla prima serata, non era riuscita a comprendere il dialetto “stretto” utilizzato da Geolier. Forse, delle tre sciocchezze dette dalla Parietti, quest’ultima si avvicina alla verità, e cioè quei fischi la dicono lunga sul malcelato fastidio di quel pubblico (borghese e razzista), nei confronti di Geolier e della lingua napoletana. C’è solo da prendere atto, con amarezza, ancora una volta, che il cammino che l’Italia deve compiere per giungere a sentirsi e a vivere come un’unica comunità nazionale, è ancora un cammino lungo e irto.