L’autonomia scolastica ha compiuto 25 anni.
È infatti datato 8 marzo 1999 il Decreto n. 275 del Presidente della Repubblica che ha costituito una tappa fondamentale del sistema educativo italiano, introducendo per la prima volta nel nostro Paese l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Due anni prima era stata la Legge Bassanini a fare da apripista per l’introduzione del sistema delle autonomie all’interno delle pubbliche amministrazioni.
La norma ha introdotto riforme che impattano sia sull’organizzazione organizzazione che sulla gestione dell’ambito scolastico, permettendo alle scuole di muoversi con una maggiore libertà, ma allo stesso tempo investendole del ruolo di agenzia per lo sviluppo delle comunità locali. Il legame ormai imprescindibile tra Scuola e territorio punta sulla possibilità, da parte delle singole istituzioni, di plasmare il loro sistema interno al fine di ottimizzare risorse e sviluppare i propri obiettivi .
In questo senso è stato un passo fondamentale, quello del decreto 275, per personalizzare i piani di studio, scegliendo metodi e tecniche di insegnamento che meglio si adattano alle caratteristiche e alle necessità degli studenti, promuovendo un apprendimento più significativo e coinvolgente che rafforzasse anche la cooperazione e la partecipazione in un’ottica di inclusività.
Una parte del mondo scolastico plaude a questo processo, mentre da altre parti molte critiche vengono mosse specie in una fase in cui si parla molto di ampliare le autonomie delle singole istituzioni.
Obiettivi raggiunti quindi?
Quasi.
Nella volontà di chi ha introdotto il sistema delle autonomia nella PA c’era il disegno di incentivare organismi che potessero, finanziati dallo Stato, dare impulso alle realtà locali in una concertazione dove le reti di scuole potessero promuovere le eccellenze, ma anche illuminare le zone d’ombra.
Si è arrivati invece ad una duplicazione di direttive (circolari, decreti) che muovono sia dal Ministero, sia a livello locale, soffocando spesso il principio di autorealizzazione.
I tagli degli anni 2000 rispetto alle risorse hanno “ottimizzato” in modo trasversale, non tenendo conto dei contesti, ma solo sulla base di costi/numeri.
Dal punto di vista finanziario, nello specifico, il PNRR ha recentemente riversato nei fondi scolastici svariate decine di migliaia di euro senza che tuttavia ci fossero a monte scelte condivise da parte delle singole istituzioni, in funzione della realtà sociale e territoriale di riferimento.
Non ultimo, il calo demografico ha condannato la salvaguardia di situazioni che solo chi tiene le redini di un istituto può conoscere ed attivarsi a tutelare. La mancata possibilità di agire sugli organici, quantomeno in zone cosiddette a rischio, è stata sacrificata ancora una volta in funzione dei costi/ricavi, esattamente come accade in qualsiasi contesto privato aziendale.
A detta di molti docenti, questo è esattamente il ritratto della Scuola attuale: un ente orientata a far quadrare i bilanci che accoglie e include tutti solo sulla carta, o meglio fin dove il diritto allo studio non vada troppo ad incidere sulle casse.