Il 15 agosto la bandiera bianca dei Talebani ha iniziato a sventolare sulla cima del palazzo presidenziale di Kabul dopo la fuga in mattinata del presidente Ashraf Ghani. L’Emirato Islamico dell’Afghanistan, che dal 1996 al 2001 aveva divorato il Paese, si è ricostituito nella notte più nera di Kabul.
Kabul infatti è ripiombata nell’inferno. Logorata, sola e disperata è ricaduta nelle mani dei talebani. Nessuna possibilità di fuga per chi aveva creduto in un futuro diverso. La città è stata assediata da un’orda fanatica di guerriglieri spietati e violenti. L’elettricità è saltata. E’ scattato l’ordine di evacuazione per gli stranieri. Gli occidentali hanno lasciato il Paese. Le ambasciate sono state chiuse. Una folla di disperati ha iniziato a correre verso l’aeroporto in attesa di lasciare la propria martoriata terra.
I soldati Usa schierati sulle piste e gli aerei presi d’assalto in ogni modo per fuggire, anche aggrappandosi uno sull’altro su per le scale dei “finger”, ci raccontano un dramma che appartiene a tutta la comunità internazionale. Questo è solo un piccolo tragico fotogramma di quello che i media stanno consegnando al mondo intero, ma certamente basta per riportare al centro del dibattito internazionale una Terra che in questi anni ha vissuto una guerra lontana dai riflettori. A 20 anni dalla caduta dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan, a seguito dell’attacco degli Stati Uniti e degli Alleati, l’avanzata dei mujaheddin è stata inarrestabile.
“Abbiamo liberato il Paese, non ci vendicheremo con nessuno”, ha affermato così in una conferenza stampa Zabihullah Mujahid, il portavoce dei talebani.
Ma per le strade di Kabul serpeggia il terrore. Nessuno crede all’amnistia generale per tutti i funzionari delle vecchie autorità afghane che sono stati invitati a tornare a lavoro. Nessuno crede alla possibilità per tutti di riprendere le abitudini di vita di sempre così come rassicura il nuovo regime. E fa paura la condizione offerta alle donne nel governo, secondo la quale queste ultime possono continuare a ricoprire il loro ruolo politico, ma sempre secondo i dettami della Sharia (letteralmente “strada battuta” – da Dio-) la legge coranica dei talebani che include norme e princìpi, non scritti quindi modificabili a seconda di chi li interpreta, ispirati a varie fonti islamiche, tra cui il Corano.
La realtà è ben diversa dai proclami di pacificazione con i quali i talebani si ripresentano alla comunità internazionale.
La realtà è che i talebani stanno setacciando casa per casa in cerca di oppositori, donne, filo-occidentali e puntano a esecuzioni mirate. La gente di Kabul è terrorizzata. Antonio Guterres, il segretario generale dell’ONU, si dice “particolarmente preoccupato per le notizie delle crescenti violazioni contro le donne e le ragazze afghane che temono un ritorno dei giorni più bui”. In questi giorni è in corso un consiglio straordinario di sicurezza dell’ONU, il quale ha già fatto sapere notizie spaventose che vanno al di là dei primi 10 morti, uccisi dai colpi dei militari, e dei 3 uomini schiacciati dalle ruote del C-17 dell’Air Force statunitense in fase di decollo.
Perché abbiamo fallito? Sono giorni che l’Occidente cerca di dare una risposta a questa domanda. In vent’anni di guerra l’impegno della coalizione internazionale a guida Usa e il coinvolgimento dei Paesi Nato è stato abbastanza costante, come la presenza delle Ong che hanno aiutato la società civile in ogni campo. Probabilmente gli errori sono quelli militari. Attaccare l’Iraq di Saddam Hussein nel 2003, due anni dopo la defenestrazione dei talebani, ha significato spostare completamente l’attenzione americana e del mondo sull’Iraq.
L’Afghanistan ancora debole e bisognoso di aiuti si è trovato al centro di due scelte politico-militari diverse: il combact anglo-americano e il peacekeeping europeo. Sono mancate azioni efficaci, la copertura della missione di pace è servita forse a lavare, e neanche bene, la coscienza dei Paesi europei, ma non ha pacificato una Terra per la quale nessuno ha saputo rappresentare un garante di Libertà. Senza considerare che non si è posto un freno alla corruzione imperante che ha affamato i soldati afghani e ha determinato continue diserzioni.
Il teatro di guerra è rimasto, quindi, latente e maligno, pronto a mettere in scena un nuovo e più violento dramma.
Cosa fare, quindi? Cosa si può ancora fare? È l’altra domanda che in questi giorni affolla la testa di tutti, da chi governa, a volte bene e a volte no, ai comuni cittadini, inorriditi e impotenti di fronte al peggiore epilogo già iniziato in Afghanistan.
Il CNDDU è fortemente convinto che quello che sta succedendo deve smuovere le coscienze di tutti, a partire dalle istituzioni europee, e spingere tutti principalmente a garantire dei corridoi umanitari per salvare più vite possibile e per garantire un futuro alle donne e agli uomini di una terra martoriata.
C’è tempo, invece, per capire quali siano state le responsabilità. Ora è il tempo della tutela dei Diritti Umani. È il tempo per la comunità internazionale di farsi carico dei rifugiati afghani. È già inaccettabile che il mondo stia fermo a guardare la perdita delle conquiste degli ultimi anni del popolo afghano, specie delle donne verso le quali bisognerebbe porre una particolare attenzione. Come potrebbe la comunità internazionale stare ferma anche di fronte a chi è scappato, corre disperato senza più niente e cerca aiuto?
Bisogna agire e in fretta. Bisogna prenderci cura del popolo afghano ed essere pronti ad offrire una nuova possibilità di vita a chi certamente può ancora salvarsi.
Nessuno si salva da solo. Tocca a noi salvarli e salvarci.
prof.ssa Rosa Manco
CNDDU