Clamore mediatico tutto ferragostano, fatto cioè di curiosità superficiale, all’insegna del mordi-e-fuggi, senza alcun approfondimento serio, salvo rarissime eccezioni, giusto per riempire le pagine (o le videate) dei giornali, si è manifestato intorno alla lettera di papa Francesco sulla letteratura (o, meglio, sulla didattica della letteratura, e della lettura, nei seminari, per la formazione dei futuri sacerdoti, degli «agenti pastorali», e di ogni buon cristiano), sul
…valore della lettura di romanzi e poesie nel cammino di maturazione personale.
Al clima ferragostano, del resto, è lo stesso pontefice che fa riferimento, nell’incipit del suo documento, la lettera apostolica, datata 17 luglio 2024, sul ruolo della letteratura nella formazione:
Spesso nella noia delle vacanze, nel caldo e nella solitudine di alcuni quartieri deserti, trovare un buon libro da leggere diventa un’oasi […].
A giudizio di papa Francesco, talvolta, in queste situazioni, un buon libro da leggere riesce a essere più efficace della stessa preghiera, nella quale non «riusciamo a trovare […] la quiete dell’anima». Non mi convince il passaggio successivo, nel quale, sempre in questo preambolo, papa Francesco mette in contrapposizione la (buona) lettura con l’odierna tecnologia digitale, e con i social media:
Prima della onnipresenza dei media, dei social, dei cellulari e di altri dispositivi, questa [cioè, la lettura di un libro] era un’esperienza frequente […].
Tutti questi dispositivi, sono, appunto, dispositivi, strumenti. La tecnologia digitale non va messa in contrapposizione con la lettura. Essi sono (e restano) strumenti, dispositivi, attraverso i quali, oggi, si realizza la lettura. Un supporto, e nulla più, esattamente come supporto è, anche, il libro di carta. Cellulari, tablet, i-Phone e tanto altro, compresi i siti web, i blog, i podcast, i Tik-Tok, e via dicendo, sono strumenti attraverso i quali, giovani e meno giovani, leggono, si accostano alle narrazioni, alle storie, alle poesie. Non vanno messi in contrapposizione. È cambiato il vettore, che si è adeguato al tempo (come, secoli fa, il libro a stampa sostituì il manoscritto). Non è affatto vero che i prodotti tecnologici siano, rispetto a quelli cartacei, privi di «margini» e di «tempo» per arricchire la narrazione, o per interpretarla:
…nella lettura di un libro il lettore è molto più attivo. In qualche modo riscrive l’opera, la amplifica con la sua immaginazione, crea un mondo, usa le sue capacità, la sua memoria, i suoi sogni, la sua stessa storia piena di drammi e simbolismi, e in questo modo ciò che emerge è un’opera ben diversa da quella che l’autore voleva scrivere.
Mi permetto di dissentire. È esattamente il contrario. Con un libro digitale, per sua natura aperto e ipertestuale, reticolare (e non più lineare), il lettore può fare tutte le operazioni di ri-scrittura che il pontefice suggerisce per un libro cartaceo.
Anzi, direi che proprio il libro di carta è, per sua natura, finito e chiuso. Con un libro digitale, ipertestuale multicodale, il lettore si fa, per davvero, co-autore della storia che sta leggendo, modificandola, anche semplicemente effettuando scelte tra un link ipertestuale e l’altro, differenti tra un lettore e l’altro, individuali, dando vita a «un’opera ben diversa da quella che l’autore voleva scrivere». Con il libro di carta, tutto questo è possibile ricorrendo alla sola fantasia e alla immaginazione di chi legge.
Con un libro digitale, invece, ipertestuale e multicodale, oltre alla fantasia e alla immaginazione di chi legge, ri-scrivere, re-inventare una storia, è possibile grazie proprio al supporto tecnologico. Non contrapponendo i diversi vettori (carta e/o digitale), si realizza appieno quello che il pontefice afferma subito dopo, e cioè, che un’opera «letteraria è così un testo vivo e sempre fecondo, capace di parlare di nuovo in molti modi». E questo è il nocciolo della questione, esaltare il ruolo della lettura:
Nella lettura, il lettore si arricchisce di ciò che riceve dall’autore, ma questo allo stesso tempo gli permette di far fiorire la ricchezza della propria persona, così che ogni nuova opera che legge rinnova e amplia il proprio universo personale.
Seguono considerazioni condivisibili sull’utilizzo della letteratura nei Seminari, per la formazione dei futuri sacerdoti, e sul tempo da dedicare, in tali luoghi, alla lettura come attività «serena e gratuita». Leggere e basta. Leggere per il piacere di leggere. Leggere per accarezzare emozioni e sentimenti. Come da tempo, in sede di didattica della lett-erat-ura scrivo e sostengo. Leggere con serenità e gratuità, tanto per citare papa Francesco. Leggere senza l’assillo delle analisi del testo (del sangue e del diabete). Leggere per il piacere di leggere. Leggere di tutto, aggiunge il Pontefice, libri «nuovi o vecchi, che continuano a dirci tante cose». Leggere testi che continuano ancora a parlarci, a farci emozionare e riflettere, dunque. Sottoscrivo appieno la severa rampogna di papa Francesco nei confronti di quanti, nei Seminari (ma io aggiungerei pure nelle Università e nelle Scuole), non assegnano adeguato spazio alla letteratura, nella formazione del giovane:
…l’attenzione alla letteratura non trova al momento un’adeguata collocazione. Quest’ultima è spesso considerata, infatti, come una forma di intrattenimento, ovvero come un’espressione minore della cultura che non apparterrebbe al cammino di preparazione e dunque all’esperienza pastorale concreta dei futuri sacerdoti. Tranne poche eccezioni, l’attenzione alla letteratura viene considerata come qualcosa di non essenziale. Al riguardo, desidero affermare che tale impostazione non va bene. È all’origine di una forma di grave impoverimento intellettuale e spirituale dei futuri presbiteri, che vengono in tal modo privati di un accesso privilegiato, tramite appunto la letteratura, al cuore della cultura umana e più nello specifico al cuore dell’essere umano.
La letteratura è il «gancio» con tutto ciò che, ciascun lettore, ha di più intimo e segreto, con ciò che egli desidera dalla vita, con le sue «tensioni essenziali», e con i suoi «significati» più profondi e autentici. Toccante (e significativo) il riferimento alla giovanile esperienza di professore di Letteratura, tra il 1964 e il 1965, svolta da Bergoglio a soli 28 anni, presso una scuola gesuitica, con i ragazzi che gli chiedevano di leggere e di studiare García Lorca, e con il programma, invece, che imponeva la lettura e lo studio de El Cid.
Il professor Bergoglio trovò la soluzione: in classe, García Lorca; a casa, El Cid. Per poi annotare, che, attraverso questo stratagemma didattico, i suoi studenti «prendevano gusto più in generale alla letteratura, alla poesia, e poi passavano ad altri autori. Alla fine, il cuore cerca di più, ed ognuno trova la sua strada nella letteratura». Papa Francesco ribadisce il valore della lettura libera (e anarchica), senza costrizioni, senza obblighi (scolastici, familiari, di moda):
Non c’è niente di più controproducente che leggere qualcosa per obbligo […]. No, dobbiamo selezionare le nostre letture con apertura, sorpresa, flessibilità, lasciandoci consigliare, ma anche con sincerità, cercando di trovare ciò di cui abbiamo bisogno in ogni momento della nostra vita.
Rivolgendosi direttamente al mondo ecclesiale, e citando l’autorità del Concilio Vaticano II, papa Francesco invita a non chiudersi al mondo, e alle sue diverse culture, e, in particolare, invita a leggere «quelle parole» (la letteratura) attraverso le quali gli “altri” hanno voluto (e saputo) manifestare e rivelare «il dramma del loro vivere e del loro sentire attraverso romanzi e poesie». Aprirsi al mondo, saperlo ascoltare, senza chiudersi nel fondamentalismo, per cogliere «la polifonia della Rivelazione senza ridurla o impoverirla alle proprie esigenze storiche o alle proprie strutture mentali». Eccelso il riferimento di papa Francesco all’accostamento che il teologo Karl Rahner faceva tra il sacerdote e il poeta. Le parole del poeta son parole cariche di nostalgia, e di tensione verso l’infinito:
…sono «porte che si aprono sull’infinito, porte che si spalancano sull’immensità. Esse evocano l’ineffabile, tendono verso l’ineffabile»
Nella consapevolezza, però, che il poeta non può giungere alle parole dell’infinito, poiché questo è proprio della parola di Dio. Laparola poetica può soltanto invocare la parola di Dio. Su questo, sul tema della ineffabilità, non posso non pensare, a Dante, e alla sua poesia dell’ineffabile, al suo non-detto. Come pure, non posso non citare Giacomo leopardi, che, molto probabilmente, ha detto (cioè, ha scritto), le parole più autentiche sulla bellezza dell’amore, che siano mai state dette (scritte) da un uomo alla propria amata, semplicemente, non dicendole, non scrivendole (Lingua mortal non dice / quel ch’io sentiva in seno). Il non-detto che dice.
L’espressione «palestra di discernimento», riferita alla letteratura, caratterizzata da forma, espressione, senso, che riesce, a giudizio di papa Bergoglio, ad affinare «le capacità sapienziali di scrutinio interiore ed esteriore» (egli scrive del futuro sacerdote, ma potremmo allargare alla persona umana tout-court), grazie al «processo della lettura», ebbene, quel vocabolo e quel concetto («discernimento»), rinvia a Benedetto Croce, che intendeva il lettore, qualunque lettore, appunto, come una mente «che discerne», che scruta e che sceglie:
L’atto della lettura è, allora, come un atto di “discernimento”, grazie al quale il lettore è implicato in prima persona come “soggetto” di lettura e, nello stesso tempo, come “oggetto” di ciò che legge. Leggendo un romanzo o un’opera poetica, in realtà il lettore vive l’esperienza di “venire letto” dalle parole che legge. Così il lettore è simile a un giocatore sul campo: egli fa il gioco ma nello stesso tempo il gioco si fa attraverso di lui, nel senso che egli è totalmente coinvolto in ciò che agisce.
La letteratura come «telescopio», scrive papa Francesco, citando Proust. La letteratura (specie quella sportiva) come «prisma», vado scrivendo, molto (molto) più modestamente, da tempo, nella ricerca di una definizione condivisa su cosa possa dirsi «letteratura sportiva». Mirabile, a tal riguardo, la citazione di un passo che papa Francesco riporta, da uno studio di monsignor Antonio Spadaro, sulla scrittura (e, direi, pure, sulla lettura) creativa:
La letteratura è come un laboratorio fotografico, nel quale è possibile elaborare le immagini della vita perché svelino i loro contorni e le loro sfumature. Ecco, dunque, a cosa “serve” la letteratura: a “sviluppare” le immagini della vita.
La letteratura come strumento necessario per interrogare la vita, e per interrogarci. Leggendo una storia, il lettore vive una, cento, mille storie; vive più autenticamente la sua vita, identificandosi con quella del personaggio di cui sta leggendo:
Così ci immergiamo nell’esistenza concreta ed interiore del fruttivendolo, della prostituta, del bambino che cresce senza i genitori, della donna del muratore, della vecchietta che ancora crede che troverà il suo principe. E possiamo farlo con empatia e alle volte con tolleranza e comprensione.
A me piace richiamare, in chiusura, il valore della lettura libera e svincolata dai lacciuoli critici, con le parole, che papa Francesco riporta nella sua Lettera, del poeta argentino Jorge Luis Borges, rivolte proprio ai giovani:
La cosa più importante è leggere, entrare in contatto diretto con la letteratura, immergersi nel testo vivo che ci sta davanti, più che fissarsi sulle idee e i commenti critici.
La letteratura come capacità di «ascoltare la voce di qualcuno». Compito primario affidato da Dio all’uomo, ricorda in conclusione papa Francesco, è quello di «nominare» gli esseri e le cose (come si legge in Genesi, 2, 19-20). La letteratura, allora,possiede questa potenza spirituale di nominare e dare senso alla vita.