Non è un’invasione di campo, ma il ritorno nella casa natia. Lo Sport a Scuola è la parabola del figliol prodigo, l’esperienza ludica e coinvolgente che diventa uno strumento didattico per cogliere gli obiettivi propri degli indirizzi scolastici. Niente di innovativo, semplicemente il recupero del primordiale concetto che ha cambiato la società alla fine del XIX secolo.
Lo Sport nasce a scuola. La teoria, ancor prima della pratica, viene sviluppata dal preside del College della cittadina di Rugby, Thomas Arnold. Vedendo giocare di squadra dei ragazzi durante una pausa di studio, da buon filosofo, colse tutti gli aspetti che in via dei conti, perseguivano gli obiettivi della scuola stessa, la formazione dei manager del futuro. I valori individuali, dell’impegno, del sacrificio, l’entusiasmo come stato emotivo, l’organizzazione, la collaborazione, la complementarietà dei ruoli. E poi la sincronizzazione, l’attenzione, l’osservazione. Lo sport è scuola.
Nacque per questo, molto prima di diventare a sua volta un’industria che, in molti casi, ha perso la sua valenza assoluta, il suo abbraccio totalizzante. Lo sport è per tutti, non è solo per il grande campione. Fare sport è crescere uomini e la scuola deve riaccogliere il figliol prodigo. Nel suo stesso interesse perché le qualità che si sviluppano facendo sport sono utili allo studio e all’apprendimento. Si tratta di far raggiungere questa consapevolezza ai nostri studenti.
Osservare e ascoltare, ancor prima di studiare, è far crescere doti che nello sport finiscono per fare la differenza. L’attenzione e la soluzione ai contesti di gioco, sviluppa il problem solving, la strategia, la capacità di lettura del contesto. Due dei tanti aspetti che si sommano e si moltiplicano e lo scambio dei fattori non condiziona il risultato. Il discorso si può fare a parti inverse. Sviluppare l’osservazione e l’ascolto, la veloce deduzione, la comprensione e la conoscenza, significa consegnare strumenti e abilità a chi fa sport. Il percorso scolastico è, e può esserlo molto di più, una forma di “preparazione” allo sport. Un allenamento che, se fatto bene, oltre a tutti i benefici culturali utili all’esperienza sportiva, al pari di quella futura lavorativa, permette di avere più tempo a disposizione, di allentare la pressione, di qualificare le ore del giorno da pianificare.
Il rapporto più stretto Scuola/Sport non può essere rinviato se si vuole realmente innalzare il livello dell’una e dell’altro. Ci sono già dei progetti ministeriali che ne sono una prova. Ma anche nel privato le iniziative non mancano. Da noi in Sardegna, da circa un anno è partito Club Sardegna, una costola di un progetto più ampio chiamato Sport Management, in cui il modo di operare è già rivolto nella direzione di un rafforzamento culturale attraverso la collaborazione degli assi educativi. In aula non ci vanno solo i ragazzi, prima del campo, ma anche i genitori prima degli spalti. E le consapevolezze crescono, riducendo gli attriti e i fenomeni distruttivi di una scuola ludica e in movimento quale lo sport è.
Si tratta di passare dalle parole ai fatti e di raggiungere una concreta sinergia, nel rispetto dei ruoli. Senza inventare niente.