PRIMI FIRMATARI DELLA PETIZIONE A SOSTEGNO DEL DIRIGENTE SCOLASTICO ALFONSO D’AMBROSIO
Di seguito il testo della petizione che sarà lanciata ufficialmente in giornata, con l’elenco dei primi firmatari. Chi volesse aggiungersi prima del lancio può farlo entro oggi, dichiarandolo qui. Grazie per il sostegno alla causa in difesa della libertà di pensiero e di espressione.
Massimo Arcangeli
«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». È l’incipit dell’art. 21 della Costituzione italiana, che non pone limiti alla libertà d’espressione purché non siano in gioco questioni di ordine superiore: il segreto giudiziario o la sicurezza della nazione, il buon costume o
l’ordine pubblico, l’odio di genere o la discriminazione razziale. È compreso nel quadro delle eccezioni anche il buon nome o la dignità delle persone in sé e per sé, perché si incorrerebbe nel reato di diffamazione, ma il libero esercizio di critica nei confronti della politica e dei suoi rappresentanti (il sale di ogni democrazia degna di questo nome), se esercitato nei dovuti modi, al netto di qualunque offesa personale, è un’altra cosa. Nei mesi scorsi, con due distinte comunicazioni (la prima del 17 novembre, la seconda dell’11 dicembre), il Dipartimento per il Sistema Educativo di Istruzione e Formazione del Ministero dell’Istruzione ha denunciato l’operato di un dirigente scolastico, segnalandolo all’Ufficio Procedimenti Disciplinari (UPD) della direzione generale dell’Ufficio Scolastico Regionale (USR) per il Veneto, per l’avvio di un procedimento nei suoi confronti. Il dirigente scolastico, Alfonso D’Ambrosio, che è alla guida di un istituto comprensivo distribuito su tre comuni padovani (Vo’, Cinto Euganeo e Lozzo Atestino), avrebbe assunto un comportamento tale da configurare, si legge nella lettera di convocazione inviatagli il 15 dicembre dall’ufficio per i provvedimenti disciplinari della direzione generale del MIUR per il Veneto, una «grave violazione dei doveri d’ufficio». Un pubblico dirigente è tenuto a comportarsi correttamente «anche al di fuori della sfera professionale», e lui avrebbe invece violato, secondo quella lettera: – i «principi di leale collaborazione, di diligenza e fedeltà» sanciti da due articoli del Codice civile: «Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale. Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende» (Diligenza del prestatore di lavoro, art. 2014); «Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio» (Obbligo di fedeltà, art. 2015);
– il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici (DPR 62/2013), all’art. 3, commi 2 e 3 («Il dipendente rispetta […] i principi di integrità, correttezza, buona fede, proporzionalità, obiettività, trasparenza, equità e ragionevolezza e agisce in posizione di indipendenza e imparzialità, astenendosi in caso di conflitto di interessi»; «Il dipendente non usa a fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni di ufficio, evita situazioni e comportamenti che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o nuocere agli interessi o all’immagine della pubblica amministrazione. Prerogative e poteri pubblici sono esercitati unicamente per le finalità di interesse generale per le quali sono stati conferiti»), all’art. 10 («Nei rapporti privati […] il dipendente […] assume nessun […] comportamento che possa nuocere all’immagine dell’amministrazione») e all’art. 12, comma 2 («Salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali, il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti dell’amministrazione»);
– il Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro siglato l’9 luglio 2019, all’art. 26 (relativamente agli obblighi di atteggiare «la sua condotta al dovere costituzionale di servire la Repubblica con impegno e responsabilità», comma 1, e di tenere, «nello svolgimento della propria attività, […] una condotta uniformata a principi di correttezza e di collaborazione nelle relazioni interpersonali, all’interno dell’amministrazione, con gli altri dirigenti e con il personale, astenendosi, in particolare nel rapporto con gli utenti, da comportamenti lesivi della dignità della persona o che, comunque, possano nuocere all’immagine dell’amministrazione», comma 4, lettera c) e all’art. 28, comma 7, lettera c, che sospende dal servizio, «con privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni fino ad un massimo di sei mesi», il dirigente colpevole di «manifestazioni ingiuriose nei confronti dell’amministrazione o degli organi di vertice, salvo che non siano espressione della libertà di pensiero, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 300 del 1970». Dell’ultimo articolo, nella lettera fatta recapitare al ds D’Ambrosio e firmata da Mirella Nappa, la responsabile dell’UPD veneto, si menziona solo il primo passaggio, tacendo su quella libera manifestazione della libertà di pensiero tutelata anche dall’art. 1 dello Statuto dei lavoratori, il dispositivo legislativo cui l’art. 28, comma 7, lettera c, fa riferimento (Legge 20 maggio 1970, n. 300): «Libertà di opinione. I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge». A D’Ambrosio viene contestato il fatto di aver pubblicato sulla sua pagina personale Facebook, «pubblica, e quindi visibile a tutti» (si legge ancora nella lettera dell’UPD), negli scorsi mesi di ottobre e dicembre, 16 post (in un caso l’addebito è conseguenza della condivisione di un articolo di giornale), nessuno dei quali, per modi e toni, viola quel che la richiesta ministeriale di un provvedimento disciplinare a carico del dirigente scolastico sostiene abbia violato. Ora il dirigente, il 26 gennaio prossimo, dovrà presentarsi all’UPD della Direzione generale dell’USR di Venezia-Mestre per il previsto contraddittorio. La sua unica colpa è quella di aver criticato l’attuale ministra dell’Istruzione. E la doppia comunicazione inviata alla Direzione generale del Miur per il Veneto perché fosse avviato un provvedimento disciplinare contro di lui è un atto politico, un pericoloso precedente per costringere al silenzio chiunque voglia in futuro legittimamente esprimere le sue critiche verso l’uno o l’altro Governo. Per chi si è reso responsabile di quella doppia comunicazione vige comunque il principio di una personalità giuridica, generalmente esclusa per la pubblica amministrazione in quanto tale (per la quale dovrebbe valere invece un principio di terzietà), di cui qualcuno dovrà chiamarlo a rispondere. Oggi la vittima è un dirigente competente, creativo, illuminato, premiato nel 2016 come miglior docente italiano per le sue capacità innovative, domani potrebbe essere preso di mira chiunque altro voglia far sentire la sua voce in nome di quella libertà di espressione su cui è fondata la nostra Repubblica. Per questo, per difendere quella libertà, e per difendere chi non ha offeso niente e nessuno, limitandosi a esercitare in modo civile il suo legittimo diritto di critica, vi chiediamo di sottoscrivere come primi firmatari questa petizione, che lanceremo a breve anche su Change.org, perché Alfonso D’Ambrosio, il 26 gennaio prossimo, non venga sanzionato. Chi è al servizio dello Stato, chi crede nella libertà di manifestazione del proprio pensiero, chi abbia radicato in sé il senso più profondo della giustizia e della democrazia, ha il dovere di ribellarsi all’arroganza di un potere intenzionato a sopprimere il diritto di critica e a reprimere il dissenso.
Massimo Arcangeli
Anna Angelucci
Antonello Sannino
Michele Zannini
Maria Làudani
Ilaria Di Leva
Antonio Mazzeo
Angelo d’Orsi
Silvana Brizzi
Roberto Atzori
Antonella Cannata
Maria Assunta Acampora
Maria Arleo
Alvaro Belardinelli
Chiara Berettini
Guglielmina Candida
Rita Carchedi
Antonietta Crudo
Betta Epicoco
Katia Fallanca
Anna Fiore
Roberta Fiorucci
Manuela Frazzetta
Luisa Lisa Galluccio
Rosanna Gangi
Barbara Gentili
Anna Gribaudo
Maria Pia Ifigenia
Renato Matteo Imbriani
Maria Lombardi
Giusi Marras
Aldomaria Mazzotta
Annarita Meleo
Katia Morrone
Chiara Pepe
Mariapia Pollio
Lucia Ranaldo
Luca Saiu
Sebastiano Sandri
Daniela Santoro
Chiara Scurti
Mariella Sibilano
Margarete Ston
Gilda Sulpizio
Maria Tassone
Ilda Tiveri
Carla Torre
Fabrizia Vajana
Anna Vitale
Marco Vulcano
Marica Zambotto
Ester Zocche