Sessanta giorni, questo il limite temporale che si è data Giorgia Meloni dall’incontro sul salario minimo avuto con le opposizioni.
Il Presidente del consiglio ha già dato le sue indicazioni, a Renato Brunetta il mandato di convenzione e coordinamento con il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, per trovare una soluzione politica a quello che è il problema salari in Italia. Da indiscrezioni sembra che il primo step sia il cambio di nome, infatti trapela dagli uffici di Via Veneto che bisogna dire stop alla dicitura “salario minimo” ma ridefinirlo come “salario adeguato”, un po’ come si è fatto con il reddito di cittadinanza e la MIA, così in caso di passaggio della legge non sia almeno sotto l’aspetto linguistico una vittoria delle minoranze.
La soglia richiesta è sempre di dieci euro all’ora, limite che da sinistra sembra il punto di partenza per difendere i lavoratori e limitare i contratti pirata. Il governo sembra invece orientato ai nove euro lordi, ritenendo la cifra più congrua alle realtà stipendiali di tanti lavori e meno problematica per quelle mansioni che ad oggi ne guadagnano nettamente di più, proteggendo questi, da trattative al ribasso.
Legare poi gli stipendi all’inflazione è un altro mantra di questa battaglia sociale, che dai banchi della minoranza si grida dalle prime ore, il governo ascolta, ma ad oggi per battere l’innalzamento di questi, ha solamente elargito bonus alla stregua di Conte e Draghi.
E la scuola?: resta una Cenerentola sedotta e abbandonata, se pensiamo agli stipendi del mondo dell’istruzione, ci rendiamo conto subito che servirebbe una legge ad hoc per il comparto scuola.
Dieci anni di blocco stipendiale dovuto a contratti non firmati (dal 2008 al 2018) non ha per niente favorito Ata, docenti e tecnici, anzi ha indebolito i loro stipendi a fronte di un’ Europa che riconosce invece professionalità e condizioni adeguate a mestieri non eguagliabili con altri.
Pensiamo ai docenti, mettendoli a confronto con i loro pari in Spagna, i nostri guadagnano mediamente otto mila euro in meno. Sotto la Torre Eiffel tra una baguette e l’altra si portano a casa 10mila in più degli omonimi italiani, mentre in Germania quasi il doppio, i danesi spaccano con i loro oltre 50mila euro l’anno di stipendio, imparagonabili a chiunque. In Europa quindi le cose vanno maluccio per il tricolore e fuori dall’Ue? Ancora peggio!.
Pensate che gli insegnanti svizzeri guadagnano quasi 80mila euro annui, quindi fare l’insegnante a Milano o farlo a 100km di distanza nel cantone più vicino ti cambia totalmente la vita.
E per gli Ata? Non cambia la musica, teniamo sempre come limite l’Europa e la Svizzera senza scomodare Stati Uniti ed Australia dove si guadagno cifre che arrivano anche ai 100mila dollari l’anno.
Da Bruxelles a Parigi, da Madrid a Berlino lo stipendio di un collaboratore varia tra i 25 e i 30mila l’anno, praticamente il doppio di quanto incassa un italiano, in Svizzera si arriva a percepire fino a circa 52.000 franchi l’anno per 13 mensilità, anche qui fare qualche chilometro in più di strada varrebbe davvero la pena.
In virtù quindi di certi numeri, quando si parla di salario minimo pensando che un collaboratore scolastico guadagna appena 7 dí euro netti tassati fino al 33%, al Governo, al Ministro, ai sindacati e alle opposizioni va ribadito l’importanza di un settore strategico come quello della scuola, spiegandogli forse nel dettaglio, quanto il divario sia ampio con i tanti analoghi colleghi e quanta poca attenzione negli anni forse, si è data sino ad oggi.
Se proprio dovete fare una legge sul salario minimo, fatela per la scuola e i suoi lavoratori.