SCUOLA E PA – Dipendenti sempre più poveri, in 15 anni la maxi-inflazione ha portato giù gli stipendi del 15,7%. Anief: non c’è scelta, in attesa del rinnovo del contratto i 5 miliardi già stanziati vadano all’indennità di vacanza contrattuale

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Close up view of European Union banknotes and coins. Selective focus on the one Euro coin. DSRL studio photo taken with Canon EOS 5D Mk II and Canon EF 100mm f/2.8L Macro IS USM.

A quanto ammonta il ritardo delle buste paga dei dipendenti pubblici rispetto al reale costo della vita? L’Ufficio Studi Anief ha realizzato il conteggio: analizzando l’ultima pubblicazione del Dipartimento del Tesoro sul tasso d’inflazione programmata e dei prezzi al consumo per le famiglie dei lavoratori – riportato nei documenti programmatici e in particolare nel Documento di economia e finanza (Def) e aggiornato nella successiva nota di aggiornamento (Nadef) – il giovane sindacato ha calcolato che tra il 2009 e il 2024 la differenza tra il galoppare dell’inflazione e il lento movimento degli stipendi è del 15,72%. “Negli ultimi 15 anni il costo della vita è aumentato del 29,2%, contro il 13,48% dell’incremento delle buste paga – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – e sui dipendenti dello Stato pesa come un macigno il blocco decennale, fino al 2018, di vuoto contrattuale”.

 

Tra il 2009 e il 2018 a fronte di un aumento dell’inflazione dell’11,1% inflazione, il Ccnl del 2018 ha risposto con un magro +3,48%. È andata meglio nel biennio successivo, con il Ccnl 2019/21, quando al +2,1% del costo della vita si è risposto, con Anief arrivata ai tavoli di contrattazione, grazie a un +4,22% stipendiale; il problema è tornato invece più forte di prima negli ultimi due anni, perché a fronte di un’inflazione del 16-17%, nel biennio 2022/24, le trattative con le organizzazioni sindacali rappresentative devono ancora essere avviate.

 

“Per questo motivo – continua Pacifico – chiediamo con forza di utilizzare tutti i 5 miliardi messi a disposizione dalla parte pubblica per l’indennità di vacanza contrattuale: in tal modo, si andrebbe a incrementare del 5,78% lo stipendio medio e ciò sarebbe in linea con quanto previsto dalla legge (50% del TIP). Lo Stato, infatti, deve pagare mensilmente un assegno pari al 50% dell’inflazione programmata ma invece di farlo tiene i soldi in cassa in attesa del rinnovo contrattuale. Fino a quando questo non avverrà, in attesa del rinnovo del contratto di categoria, noi continueremo a proporre e portare avanti appositi ricorsi, per personale di ruolo e precari, finalizzati al recupero della piena indennità di vacanza contrattuale: in pratica, portiamo avanti delle azioni giudiziarie per il recupero del doppio dell’assegno ricevuto a dicembre 2023, esattamente come dice la legge in vigore”.

 

L’ANDAMENTO IN DECRESCITA

Il problema di fondo è che l’inflazione record e l’aumento dei prezzi dell’ultimo triennio hanno reso più poveri i dipendenti, soprattutto quelli che operano per lo Stato, poiché sono lavoratori che percepiscono stipendi semi-fermi e sempre più distanti dal costo della vita: l’inadeguatezza delle buste paga riguarda un po’ tutta l’Europa, e poiché secondo gli analisti economici  è assai difficile che i prezzi tornino a quelli pre-Covid è inevitabile che dovranno essere “i redditi a doversi adeguare al costo della vita”.

 

Va anche detto, scrive Il Post riprendendo fonti Ocse, che le “retribuzioni italiane sono quelle che hanno subìto una delle maggiori riduzioni del potere di acquisto: in un anno i salari reali sono scesi del 7,3 per cento, nonostante in media le buste paga siano aumentate dell’1,6 per cento. Altri paesi hanno registrato invece variazioni più contenute dei salari reali, anche grazie ad aumenti più sostanziali di quelli nominali: in Germania si sono ridotti del 3,3 per cento, a fronte di un aumento delle buste paga del 5 per cento; in Francia sono scesi dell’1,8 per cento, contro un aumento dei salari nominali del 4,2 per cento”. Se si guarda al lungo periodo, le cose non vanno meglio: l’ultimo rapporto annuale dell’Inapp spiega che “negli ultimi 30 anni, dal 1991 al 2022, sono cresciuti solo dell’1%, a fronte del 32,5% in media nell’area Ocse”.

 

In questo contesto generale che grava pesantemente sulla vita dei dipendenti pubblici, è evidente che i 5 miliardi messi a disposizione dal Governo per il rinnovo dei contratti delle PA 2022/2024 sono a dire poco inadeguati. “Secondo i calcoli del nostro Ufficio Studi – dichiara Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – quei 5 miliardi servono solo a recuperare l’indennità di vacanza contrattuale, relativa al biennio di ritardo contrattuale, da assegnare ai lavoratori che operano per lo Stato. Servono poi altri 10 miliardi per allineare gli stipendi all’inflazione che nel frattempo ha assunto proporzioni gigantesche”.

 

Tornando ai nostri giorni, il rapporto Aran non tiene conto del blocco del contratto di cui sono state “vittime” i dipendenti tra 2008/2018 e della relativa inflazione (+14%), inoltre tace su quella da record (+16%) del 2022/2024. “Fino a quando i nostri governanti non ammetteranno questo – conclude il presidente Anief – gli stipendi dei lavoratori statali saranno sempre più modesti: addirittura 15 punti sotto inflazione negli ultimi 15 anni. Quindi, ricapitolando, servono 10 miliardi ulteriori per allineare la retribuzione al costo della vita, come del resto è avvenuto nel settore privato”.

 

Per sapere quanto lo Stato deve a ogni lavoratore della scuola e dipendente pubblico per mancata assegnazione dell’indennità di vacanza contrattuale piena basta controllare il proprio cedolino dello stipendio: si verifica l’assegno corrisposto nel mese di dicembre 2023 e si divide la cifra per 13 mensilità. La somma ricavata, quindi, si moltiplica per la tabella messa a disposizione dall’Anief. Ogni dipendente scoprirà di avere diritto a degli arretrati che vanno dai 2mila ai 4 mila euro. Per maggiori informazioni cliccare qui.

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