Istruzione “pilastro fondamentale” nella costruzione di una società informata! Tuttavia, dietro le quinte delle aule scolastiche si cela una realtà finanziaria complessa, fatta di fonti di finanziamento variegate per garantire un’istruzione di qualità, con il ricorso sempre più diffuso ai contributi ‘volontari’ delle famiglie che servono a finanziare iniziative come gli sportelli psicologici o l’ acquisto di libri, ma anche il pagamento delle licenze d’uso dei software, i contratti di manutenzione degli impianti e dei macchinari di laboratorio, e perfino l’ acquisto di carta e toner.
Secondo i dati contenuti nei Rapporti di autovalutazione del quadriennio 2022/25, l’intervento medio delle famiglie con figli alle scuole superiori si attesta su di una media di 86,3 euro, nel quadriennio precedente la cifra si fermava a 52,6 euro. A chiedere soldi alle famiglie sono soprattutto le scuole superiori (il 32,7%), a dire il vero appena la metà di quelle del periodo precedente (il 62,6%) che però chiedono complessivamente 74,7 milioni rispetto agli 86,5 del periodo precedente, solo il 13,4% in meno. Insomma, le scuole che chiedono il contributo sono dimezzate, ma il contributo richiesto è cresciuto.
Molto più limitata la richiesta per gli Istituti Comprensivi, con il versamento medio per la scuola primaria che si aggira attorno ai 20 euro che salgono a 23 euro alla secondaria di primo grado.
Questi contributi, seppur di importo volontario, variano significativamente a livello regionale. Ad esempio, nella prospera Lombardia, le famiglie contribuiscono mediamente con 113,2 euro a famiglia, mentre nella Calabria più svantaggiata la cifra si riduce a 35,5 euro. Una variazione che rispecchia le differenze economiche tra le regioni italiane, mettendo in luce una sfida importante: l’equità nell’accesso a un’educazione di qualità. Se da un lato le famiglie delle regioni più ricche possono permettersi di versare di più, quelle delle regioni più povere potrebbero faticare a far fronte a queste richieste finanziarie.
La rinuncia al contributo volontario delle famiglie ha un impatto diretto sull’offerta educativa supplementare che le scuole possono garantire. Attività extracurriculari, risorse avanzate e miglioramenti infrastrutturali rischiano di essere limitati o addirittura tagliati. Ecco perché i dirigenti scolastici si trovano ad affrontare una scelta difficile: mantenere la qualità dell’istruzione nonostante le sfide finanziarie o rischiare che gli studenti perdano opportunità significative (e magari cambino scuola).
La crescente pressione economica sulle famiglie rende ulteriormente complicata la situazione. Il rincaro dei beni di prima necessità, del carburante e delle bollette mette ulteriormente sotto stress i bilanci familiari, mettendo in discussione la fattibilità dei versamenti volontari. In questa cornice, i dirigenti scolastici sottolineano comunque l’importanza di questi contributi come unico mezzo a loro diposizione per garantire un’istruzione di qualità e una comunità scolastica più ricca di opportunità.
Uno strumento comunque difficile da giustificare ma anche da praticare concretamente. Anzitutto perché, in una scuola che chiede l’obolo a versarlo saranno in parecchi meno, e ancora meno in concomitanza dei rincari di tutti i beni di prima necessità, della benzina e delle bollette. D’ altra parte non è pensabile che chi non “versa” acceda ad un’ offerta formativa monca dei progetti finanziati in questo modo.
Insomma, la questione dei versamenti volontari delle famiglie alle scuole diventa una sfida significativa per l’istruzione italiana che, al di là delle altre considerazioni, sembra scontare prima di tutto un limite concreto dei finanziamenti reali rispetto alle dichiarazioni di principio.