Sicilia: precari rifiutano il ruolo. Tra professione mal pagata e scarsa motivazione a spostarsi

Il paradosso della scuola italiana si manifesta in tutta la sua contraddizione in terra di precariato storico: la Sicilia. Se da anni ci viene raccontato che il rifiuto delle immissioni in ruolo rigua...

A cura di Redazione Redazione
02 settembre 2024 15:26
Sicilia: precari rifiutano il ruolo. Tra professione mal pagata e scarsa motivazione a spostarsi -
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Il paradosso della scuola italiana si manifesta in tutta la sua contraddizione in terra di precariato storico: la Sicilia. Se da anni ci viene raccontato che il rifiuto delle immissioni in ruolo riguarda principalmente quei docenti del Sud che, per non allontanarsi da casa, rinunciano a insegnare nelle scuole del Nord, quest’ anno emerge una nuova realtà, altrettanto sconcertante: anche in Sicilia, terra che storicamente vede migliaia di precari in attesa di una stabilizzazione, molti docenti hanno rifiutato un incarico a tempo indeterminato nella loro stessa regione.

Il caso Sicilia

In Sicilia, su 243 docenti risultati idonei al concorso del 2020, ben 40 hanno preferito restare precari piuttosto che accettare un posto di ruolo. Un comportamento apparentemente a dir poco assurdo, considerando che per anni gli stessi insegnanti hanno lamentato la precarietà e l’instabilità delle loro carriere. Eppure, alla prova dei fatti, quasi uno su cinque ha scelto di dire “no” a una stabilizzazione che molti altri loro colleghi desiderano disperatamente.

Il posto sotto casa?

Le ragioni di questi rifiuti sono, di fatto, un misto di egoismo e disillusione. Da un lato, c’è chi preferisce non allontanarsi troppo da casa, rifiutando qualsiasi incarico che implichi anche solo il minimo disagio logistico visto che resta la disponibilità di posti vacanti assai più vicini. Dall’altro, c’è chi, nonostante la tanto agognata stabilità, trova il ruolo di insegnante talmente poco gratificante e mal pagato da non ritenere conveniente accettarlo se non acerte condizioni, tra le quali c’ è la possibilità di non doversi spostare troppo.

In altre parole, la professione di docente, già minata da una retribuzione al limite della decenza, diventa ancora meno attrattiva quando non può nemmeno garantire un impiego vicino a casa.

Oltre la questione morale.

Questo comportamento sembrerebbe porre una questione morale: è giusto lamentarsi della precarietà per poi rifiutare un’opportunità di stabilizzazione? Magari perché non si è (apparentemente) disposti a fare sacrifici?

Dal che la solita litania: il sistema scolastico italiano non può continuare a essere ostaggio di insegnanti che pretendono tutto senza dare nulla in cambio. Se la mobilità è un requisito per il bene della scuola e degli studenti, allora dovrebbe essere accettata senza riserve. Una litania di maniera, visto che è innegabile che la professione docente in Italia soffra di una crisi di attrattività senza precedenti. Stipendi tra i più bassi d’Europa e condizioni lavorative spesso insostenibili. Non stupisce, quindi, che molti insegnanti siano disillusi al punto da preferire la precarietà alla stabilità, se quest’ultima implica condizioni di vita peggiori.

Valditara: è stato un successo

Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha recentemente definito un successo le immissioni in ruolo di quest’anno, smentendo gli “allarmisti di professione”. Tuttavia, la realtà sul campo mostra un quadro diverso: quello di un sistema che, nonostante gli sforzi, non riesce a essere abbastanza attrattivo da trattenere i suoi stessi docenti. E questo vale non solo per le scuole del Nord, ma anche per quelle del Sud, dove la situazione dovrebbe, teoricamente, essere più favorevole.

È tempo di una riflessione seria sul futuro della scuola italiana. Non è più accettabile che docenti precari rifiutino un incarico solo perché lontano da casa, ma non è nemmeno giusto che lo Stato continui a offrire condizioni di lavoro che non garantiscono una vita dignitosa. La stabilizzazione non può essere un premio a metà, ma deve rappresentare un vero passo avanti nella carriera di un insegnante.

Stop al bivio

La scuola italiana si trova di fronte a un bivio: o si accetta di riformare il sistema in modo che sia realmente attrattivo per chi vuole insegnare, oppure si rischia di perpetuare un circolo vizioso di rifiuti e lamentele, dove nessuno esce vincitore, tantomeno gli studenti che pagano il prezzo più alto di questa crisi.

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