Da Bauman a Seneca: l’adultescenza tra analisi sociologica e riflessione etica

Oggi, in una società in cui l’adulto tende a riprodurre modelli adolescenziali in continua fluidificazione, la questione assume rilievo educativo eminente, venendo meno la funzione “esemplare”

A cura di Redazione Redazione
21 dicembre 2025 15:41
Da Bauman a Seneca: l’adultescenza tra analisi sociologica e riflessione etica  -
Condividi

di Nadia De Cristofaro

Nella modernità liquida il termine “adultescenza” designa, sociologicamente, una condizione che travalica la semplice nostalgia della giovinezza, indicando la stabilizzazione, in età adulta, di atteggiamenti tipicamente adolescenziali, quali: instabilità identitaria, centralità dell’immediato, dipendenza dai social-media e dal connesso apprezzamento sociale, refrattarietà a vincoli affettivi duraturi, all’assunzione di ruoli e incarichi di responsabilità permanenti, conduzione di stili di vita tipici dell’età adolescenziale. Il fenomeno acquista particolare rilevanza educativa quando incarnato da adulti-genitori, sempre più protagonisti di una quotidianità improntata alla rimozione simbolica dell’invecchiamento, alla ricerca costante di riconoscimento, al consumo e al consenso come forma di autoaffermazione. In tali contesti di precarietà emotiva, la tradizionale asimmetria tra adulto e adolescente si attenua, fino quasi a dissolversi: l’adulto non è più figura di orientamento e di approdo, ma soggetto altrettanto esposto all’incertezza, di cui condivide linguaggi, fragilità e medesime strategie di fuga dalla realtà.

È in tale scenario che la riflessione di Zygmunt Bauman sulla modernità liquida offre una compiuta chiave interpretativa; la liquidità della società contemporanea si manifesta nella progressiva dissoluzione delle strutture stabili – identità, ruoli, legami, progetti di vita – percepite come vincoli incompatibili con l’ideale di libertà individuale. L’adulto liquido è colui che conserva deliberatamente la propria forma aperta e reversibile, evitando di cristallizarsi in scelte definitive, ostacolo a possibilità future. In questa prospettiva l’adultescenza, non più devianza marginale, si atteggia a esito coerente di un sistema culturale che privilegia, alla maturazione, la flessibilità permanente.

È qui che si impone il richiamo al concetto di lifelong learning, centrale nel dibattito socio-educativo contemporaneo; un processo di apprendimento continuo, che accompagna l’intero arco dell’esistenza, finalizzato non solo all’aggiornamento delle competenze professionali, ma anche allo sviluppo etico, civico e personale; un apprendimento che, se isolato dalla dimensione etica della responsabilità, è confinato a legittimazione di perenne transitorietà, a permanenza “in formazione”, senza approdare e sublimarsi in una forma definita e compiuta.

Sempre qui la riflessione di Lucio Anneo Seneca, voce del modo classico, pur lontana nel tempo, rivela la sua sorprendente attualità: “Tamdiu discendum est quomodo vivas, quamdiu vivas”. Custodita nelle Epistulae Morales ad Lucilium (Lettera 41), essa non propone un’idea di apprendimento indefinito, come sospensione della maturità, bensì di un esercizio continuo di perfezionamento morale in cui imparare l’arte del vivere significa acquisire progressivamente dominio di sé, consapevolezza del tempo e capacità di assumere il proprio ruolo nel mondo; non una condizione di incompiutezza, ma un processo di consolidamento della persona. Di contro l’adultescenza si atteggia a torsione del principio stesso del lifelong learning. Ciò che dovrebbe favorire la crescita e la stabilità interiore si trasforma in un dispositivo di rinvio, in una dilazione sistematica dell’età adulta e il filosofo, pur non disponendo ancora della categoria concettuale di adultescenza, bene individua, e con estrema precisione, tale rischio osservando che “Dum differtur vita, transcurrit”, mentre la vita viene differita, essa scorre e si consuma; restituisce un’immagine dell’apprendimento permanente come processo di progressiva solidificazione dell’identità dell’essere, consapevole del rischio di attraversare l’esistenza senza diventare pienamente uomini, senza forgiare la propria vita attraverso misura, responsabilità e virtù.

Oggi, in una società in cui l’adulto tende a riprodurre modelli adolescenziali in continua fluidificazione, la questione assume rilievo educativo eminente, venendo meno la funzione “esemplare” che tradizionalmente orientava i più giovani, accompagnandoli verso la maturità. E la riflessione consegnataci dal mondo classico trova evidente convergenza con l’analisi baumaniana della modernità liquida, secondo cui l’evitamento dell’impegno genera individui fragili e relazioni instabili, incapaci di assumere o sostenere nel tempo il peso delle scelte.

Nel confronto tra moderno e antico una tensione decisiva, una sintesi rigorosa tra una cultura che tende a dissolvere le forme della vita adulta e una tradizione che, proprio nella maturità, collocava dell’apprendimento il compimento più alto: “Non quia difficilia sunt non audemus, sed quia non audemus difficilia sunt”.

Segui Voce della Scuola