Educare e non vietare

L’autorità è sempre stata alla ricerca di un “nemico di turno”, per coprire proprie manchevolezze, ricorrendo alla facile soluzione del divieto

20 novembre 2025 13:15
Educare e non vietare -
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È molto più facile vietare, lo si fa in pochi secondi, con poche battute; anziché, perdere tempo con l’educare. L’autorità è sempre stata alla ricerca di un “nemico di turno”, per coprire proprie manchevolezze, ricorrendo alla facile soluzione del divieto. Il “nemico di turno” di questi ultimissimi tempi è il cellulare, lo smartphone, il tablet, insomma, il digitale, tutto ciò che ciascuno di noi utilizza al di fuori della scuola, nella vita di tutti i giorni, ma che, per espresso divieto d’autorità, non deve utilizzare nelle aule scolastiche. Eppure, la scuola ha speso fiumi e fiumi di quattrini (pubblici), negli ultimi decenni, per digitalizzarsi. Niente da fare. Adesso lo dicono pure gli psicologi che i ragazzi che utilizzano da piccolissima età gli strumenti digitali ritardano la lettura, ritardano la socializzazione, diventano sociopatici, aggressivi, potenziali assassini. Quindi?

Vietare. Tutto. Subito. Pensare di educare e di formare studenti, docenti e genitori alla grammatica di questi nuovi strumenti, no? È sbagliato? Eppure, ricordo che, nel mio piccolo, più di vent’anni fa, un Dirigente Scolastico (allora si chiamavano ancora Presidi) di un grosso e noto Istituto Tecnico tarantino mi convocò per assegnarmi un ciclo di lezioni pomeridiane per la formazione all’utilizzo del pacchetto Office rivolto alle mamme dei suoi studenti di biennio. Sì, alle mamme, perché, mi precisò il Preside, i ragazzi ricevuti i compiti a scuola, una volta rientrati a casa, e disponendo di un pc a casa, come avrebbero potuto chiedere e ottenere l’aiuto della mamma, per esempio, nella realizzazione di un grafico a torta utilizzando Excel? Educare e non vietare. Questa era la filosofia pedagogica di quel Dirigente Scolastico.

No, dicono psicologi, docenti yes-man, e lo stesso ministro Valditara: meglio vietare tutto, anche nella ricreazione, fino a 13 anni. Una volta si parlava di insegnamento attivo, di insegnamento per prova ed errore; del valore della sperimentazione tattile, per giungere prima a cogliere la relazione tra causa ed effetto (esattamente quello che consente di fare, anche in modalità piacevole, uno schermo di smartphone o di tablet). No. Vietare, e basta. È pericoloso. Diventano aggressivi, ritardano l’apprendimento della lettura, si candidano a diventare assassini. Per parte mia, ricordo di aver letto, forse anche prima dei miei tredici anni, in un romanzo, di una certa signora, che, insoddisfatta della sua banalissima vita in un paesello di provincia, leggendo le cronache della bella vita che si svolgeva, invece, tutte le sere, nella capitale, finì per confondere il reale con il sogno, il reale con l’ideale. Leggendo romanzi romantici finì sociopatica, giungendo al suicidio. Furono i romanzi letti, non l’uso del cellulare o del tablet, a fare di Emma Bovary una disturbata. Come la mettiamo? Carissimi Signori del “No”, ad ogni costo? Come ci regoliamo? Vietiamo in tutte le scuole, d’ogni ordine e grado, la lettura del romanzo di Gustave Flaubert? E quanti altri romanzi dovremmo vietare? Rifacciamo l’Indice dei Libri proibiti? Oppure, vietiamo l’esposizione di opere d’arte “immonde”, che istigano violenza e depravazione? Torniamo all’idea delle “opere immonde” elaborata dai nazisti (salvo scoprire, decenni e decenni dopo, che avevano fatto sequestrare le opere d’arte per rubarsele)? Oppure, vietiamo anche l’ascolto di una canzone? Di una sinfonia? Come ci regoliamo, egregi e illustri psicologi, dottori, professori e ministri?

Si torni a essere seri: educare e non vietare. Questa è la sfida che, oggi, pone a noi adulti (genitori, docenti, educatori) il digitale. Abbandoniamo la strada (facile facile) della ricerca del “nemico” di turno. Una volta, questo “nemico” fu identificato con la televisione (quanti cartoni animati, specie quelli giapponesi, sono stati accusati di istigare il disturbo psico-fisico dei bambini?); altre volte, in tempi più recenti, sono stati identificati con i video-giochi; poi, con i fumetti. Adesso, con il cellulare. Vietare è tradire la missione dell’adulto, che è quella di educare. Quante volte, il genitore diserta? Tradisce? È assente? Parcheggiando il figlio dinanzi alla Tv, o al pc, o al tablet? Quante? Consiglio, a tutti, di leggere Madame Bovary, senza temere di restarne corrotti.

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