Il Settennato Sacro: per una teologia del concorso per dirigenti scolastici

Ovvero: come abbiamo trasformato il merito in processione penitenziale e la carriera in pellegrinaggio, ma senza la grazia finale

29 ottobre 2025 23:26
Il Settennato Sacro: per una teologia del concorso per dirigenti scolastici - La Voce della Scuola
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L'Italia, si sa, è Paese devoto. E al tempo dell'avvilimento del sacro, quella sacralità l'ha trasferita nelle sue burocrazie totemiche: non più Compostela, ma la graduatoria; non più l'indulgenza plenaria, ma lo scorrimento ad esaurimento. La scuola italiana ha ritrovato se stessa: immobile, come il Buddha sotto il fico, come la statua del Commendatore, come l'Italia stessa quando deve decidere qualcosa di importante.

La riforma che si annuncia come rivoluzione è sempre un ritorno all'ordine primigenio: il ciclo settennale, liturgia antropologica che richiama i Riti Settennali di Penitenza di Guardia Sanframondi, con i 'vattienti' che si flagellano per purificarsi. Qui non ci si flagella, ma si concorre e l'attesa diventa una condizione esistenziale.

L'oroscopo esistenziale: una volta per generazione

Il punto che nessuno dice ad alta voce: il concorso per dirigente scolastico si tenta una volta per generazione. E qui la matematica diventa teologia. Per partecipare servono cinque anni di ruolo. Ma le statistiche sulla stabilizzazione dei precari—quelle che il ministero pubblica sottovoce—rivelano che il ruolo arriva mediamente a quarant'anni. Quaranta: l'età in cui Cristo era gia’ morto, Dante era tornato da un bel po’ dalla selva, un calciatore va in pensione. Solo allora puoi contare i cinque anni necessari per tentare il concorso a quarantacinque.

Se va bene. Se il concorso è stato bandito proprio quell'anno fortunato. Altrimenti aspetti il prossimo transito planetario: cinquantadue anni. Se sbagli ancora—e con 42,5 candidati per posto, statisticamente sbaglierai—il prossimo passa a cinquantanove, praticamente in pensione.

Questa è l'astrologia della pubblica amministrazione: una finestra planetaria ogni sette anni, come la cometa di Halley. Se le stelle non sono allineate, se stavi crescendo un figlio o curando un genitore, aspetti. E mentre aspetti, invecchi.

La matematica della dannazione

L'ultimo tassello del mosaico che Giustiniano avrebbe ammirato, arriva con l'ordine del giorno di Sasso della Lega, partorito nel grembo del decreto 127/2025, della maggioranza che prometteva merito e ha finito per canonizzare le code.

Il trucco è elegante: rendere "ad esaurimento" le graduatorie 2023, come già fatto col riservato 2017. Prima si smaltiscono quasi duemila aspiranti in fila indiana—1.580 del riservato e oltre 370 dell'ordinario—poi, forse, si bandirà. Prima del 2030? Ma no… la liturgia richiede sette anni esatti.

La graduatoria del riservato 2017—pubblicata nell'agosto 2024 dopo pellegrinaggi giudiziari che farebbero impallidire Kafka—conta 1.580 posizioni residue. Con 120-140 immissioni annue al 40%, servono 11-13 anni per smaltirla. Tredici anni: un bambino che entra in prima elementare esce diplomato prima che un candidato diventi preside.

E qui il paradosso perfetto: alcune graduatorie regionali 2023 sono già esaurite per cui largo al riservato 2017. Un anno in cui non esisteva ChatGPT e Renzi era premier.

Il rito che si perpetua

Con l'organico "a tetto"—bloccato mentre le scuole si riempiono e gli edifici crollano—e la ripartizione 60-40 che nessuno ha mai capito ma tutti venerano come un mantra, il sistema produce sempre lo stesso ritmo: un concorso ogni sette anni. Il ministro annuncia "Merito!", la burocrazia risponde "Graduatorie ad esaurimento!", il Parlamento mormora "Scorrimento!", la scuola replica "Ammesso con riserva".

Non è un sistema di reclutamento: è un oroscopo esistenziale. Sei nato sotto il segno del concorso 2017? Aspetta. Del 2023? Aspetta anche tu. Del prossimo nel 2030? Preparati ad aspettare fino al 2037. La vita scandita non dai meriti ma dai transiti di una burocrazia che ha trasformato Saturno in un dirigente del MIUR: un transito ogni sette anni, una congiunzione ogni quattordici, abbastanza per consumare un'intera carriera nell'attesa.

Il concorso per dirigenti scolastici è diventato un rito pagano di penitenza nazionale, dove il dolore non purifica ma semplicemente esiste. Non serve a selezionare i migliori—con 42 candidati per posto, molti eccellenti restano fuori per caso—non serve a coprire i posti vacanti, non serve a dare prospettive di carriera. Serve solo a perpetuare se stesso, come ogni burocrazia: il concorso esiste perché deve esistere.

Migliaia di professionisti qualificati—con master, pubblicazioni, competenze manageriali—resteranno in aula fino alla pensione. Non per demerito, ma per la meccanica inesorabile: troppi candidati, troppo pochi posti, troppe graduatorie sovrapposte come strati geologici.

Il prossimo bando? Forse nel 2030, forse nel 2032. Nel frattempo, chi vuole fare il preside aspetti: sette, dieci, tredici anni. Siamo in Italia: abbiamo inventato il Purgatorio, sappiamo gestire l'attesa eterna come forma d'arte.

Il merito? Sì, certo: in fila, con il rosario in mano e la pazienza dei santi anacoreti. Perché questo è il concorso italiano: non una selezione ma un sacramento, non un percorso professionale ma un pellegrinaggio, non una carriera ma una vocazione mistica che richiede fede incrollabile nel fatto che prima o poi, in questa vita o nella prossima, il proprio numero verrà chiamato.

Perche’ conta la fila. Anche se sembra infinita.

Sette anni, sempre sette, come le vacche grasse e magre del Faraone. Perché la burocrazia italiana è sacra, e il concorso per dirigenti scolastici è il suo rito più santo, più puro, più perfettamente inutile.

Amen.

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