La scuola senza smartphone

Viaggio nell'Italia dell'istruzione tra divieti, innovazione mancata e dirigenti-sceriffi. Intervista ad Adele Vairo, Ds del Liceo Manzoni di Caserta

11 settembre 2025 23:46
La scuola senza smartphone - la Voce della Scuola
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C'è un'Italia che prova a cambiare e un'Italia che arranca. C'è una scuola che guarda al futuro e una scuola che conta i centesimi. E poi ci sono i dirigenti scolastici, questi strani funzionari-educatori-sceriffi, in fondo visionari, che ogni mattina si svegliano sapendo che dovranno risolvere l'impossibile con il niente. Adele Vairo, dirigente del Liceo Manzoni di Caserta, è una di loro.

LVDS: Dirigente, partiamo da una considerazione. Il divieto dei cellulari nelle scuole sembra più un gesto simbolico, una moda del momento, che una vera soluzione. Ma e’ davvero credibile pensare che si possa spegnere la dipendenza digitale dei ragazzi semplicemente vietando il telefono per sei ore? E soprattutto: dopo anni in cui ci hanno detto di innovare la didattica, di usare il digitale, di far portare ai ragazzi i propri dispositivi... ora si torna alla lezione tradizionale?

DS ADELE VAIRO: Ovviamente no. Ma parliamo piu’ tecnicamente della nota del ministro: l'applicazione vuole, per le scuole secondarie superiori di secondo grado, ad eccezione degli indirizzi dove l'informatica è parte pregnante del curriculum, il divieto assoluto dell'utilizzo del cellulare - non dei mezzi affini per portare avanti i progetti di didattica multimediale. Quindi no al cellulare, sì ad altri mezzi che possono essere tablet o PC per la didattica, e anche questi rigorosamente forniti e controllati dalla scuola.

La distinzione ministeriale tra smartphone e tablet è, in fondo, più difficile da spiegare che da applicare. Per la persona comune, entrambi sono dispositivi mobili connessi a internet, dotati di schermo touch e di app educative: chiamarli con nomi diversi non ne cambia la natura. Eppure, nel contesto della scuola, questa contrapposizione ha assunto un valore sostanzialmente simbolico. Negli anni scorsi, proprio perché mancavano risorse per dotare le classi di device in numero sufficiente, si era fatto ricorso al modello BYOD (Bring Your Own Device), che consentiva agli studenti di usare i propri strumenti personali – smartphone compresi – come supporto alla didattica digitale. Oggi, invece, la linea tracciata è quella del “no al cellulare, sì al tablet ma solo quello della scuola”, quasi a voler dare un confine netto a ciò che è ammesso e ciò che non lo è. Il sospetto e’ che piu’ che un criterio tecnologico si tratti di una regola formale che, con il suo retrogusto bizantineggiante, offre almeno una certezza forse troppo burocratica: sapere cosa è vietato e cosa è consentito.

LVDS: Pero’così crolla tutto l'impianto del BYOD, il "porta il tuo dispositivo". Anni di belle parole, circolari, linee guida che ora sono tutti da cestinare?

DS ADELE VAIRO: Assolutamente salta, perché si possono utilizzare mezzi che prescindano dall'utilizzo del proprio dispositivo. E le diro’ che questa secondo me è una modalità che facilita enormemente la necessita’ di controllo del docente sull'utenza-alunno che, quanto a possesso e utilizzo scorretto dei cellulari, ha detto e può dire la sua.

LVDS: Va bene, il principio è certamente ragionevole se ci teniamo sul piano della sicurezza che e’ effettivamente finito troppo spesso sotto i riflettori in questi anni. Ma la famosa didattica innovativa che fino a ieri passava obbligatoriamente per il digitale in classe?

DS ADELE VAIRO: È ragionevole e non limita affatto l'azione della didattica innovativa. Chi vuole fare didattica innovativa prescinde dall'uso del cellulare - che ha altri rischi - e fa didattica innovativa, laboratoriale, multimediale che prescinda dalla lezione frontale, che comunque secondo me non va mai abbandonata del tutto. Utilizza altri mezzi. D'altra parte, se con il PNRR è vero come è vero che abbiamo avuto la possibilità... faccio l'esempio del mio liceo: noi abbiamo, con i fondi PNRR, acquistato, costruito, progettato, voluto un'aula immersiva tra le più innovative d'Italia, se non unica in Italia.

Quando la dirigente Vairo parla della sua aula immersiva, lo fa con l'orgoglio di chi ha realizzato qualcosa di importante. E ha ragione. Ma ascoltandola, viene in mente una vecchia riflessione: l'eccellenza è un fatto individuale, quasi eroico dalle nostre parti. C'è sempre qualcuno - un dirigente, un professore, un sindaco - che riesce a fare miracoli. Il problema è che i miracoli, per definizione, non si possono moltiplicare. E così per un Liceo Manzoni che riesce a guardare al futuro ci sono centinaia di scuole costrette a guardare al passato. E troppo spesso semplicemente per mancanza di risorse.

LVDS: Dirigente e’ un cambio radicale dell’idea di scuola che ci era stata proposta fino a ieri e che non sembra supportato adeguatamente, oltre le solite petizioni di principio. Lei al Manzoni ha costruito un'aula immersiva all'avanguardia, ha investito bene i fondi del PNRR. Il Manzoni, diciamocelo, è quella che si dice una scuola di eccellenza. Eppure neanche qui ci sono i tablet per i vostri duemila e passa studenti e per gli insegnanti. Non le sembra che qui caschi l'asino: chi lo paga il cambiamento?

DS ADELE VAIRO: Pagano i fondi che finora hanno dato la possibilità di un minimo di miglioria. Attenzione, non le sto dicendo che i fondi finora erogati su questa problematica siano esaustivi, tutt'altro. Auspicherei un'azione ministeriale che prosegua su questa via: nel momento in cui c'è questa nota del ministro che fa esplicito divieto per la prima volta all'utilizzo del cellulare personale per l'alunno, io auspicherei un incremento di fondi destinati ai miglioramenti multimediali sulle possibilità didattiche in aula.

LVDS: Secondo lei, i suoi colleghi dirigenti hanno davvero speso i fondi europei pensando all'innovazione didattica, oppure li hanno usati per tappare altri buchi?

DS ADELE VAIRO: Non sono in grado di rispondere e non credo neanche che tocchi a me rispondere. Noi abbiamo tentato in tutti i modi di innovare a livello tecnologico-multimediale la struttura. Oggi si parla del campus Manzoni come un riferimento importante anche ben oltre il territorio, con un'innovazione progettuale - per me l'innovazione concettuale, culturale e progettuale vale molto più dell'innovazione tecnologica. È ovvio ed evidente che anche i miei colleghi, ciascuno nel suo contesto, probabilmente ci hanno provato. Ma non c'era la necessità che c'è oggi: oggi davvero c'è una necessità sistemica per l'Italia di attrezzarsi, dato che il cellulare fino a ieri accessibile per l'utilizzo didattico deve essere sostituito.

La dirigente dice: "non tocca a me rispondere" e il discorso sulle responsabilita’ sfugge al rischio di trasformare un problema sistemico in una questione morale individuale. Quella per cui invece di chiederci perché il sistema non funziona, ci chiediamo se il singolo ha fatto il suo dovere. È più facile, è più consolante. Ma è anche più inutile. La verità è che molti dirigenti, probabilmente, hanno fatto quel che potevano con quel che avevano. Il punto non è giudicarli, ma capire perché il sistema prevede senza dirlo esplicitamente che debbano “arrangiarsi”.

LVDS:  Ecco, arriviamo al cuore del problema. Il PNRR immaginava una rivoluzione nei rapporti tra scuola e tecnologia che non si limitasse all'aula speciale per l'attività del venerdì pomeriggio, ma la didattica quotidiana con i dispositivi digitali. La realtà è che molte scuole, specialmente meridionali, hanno usato i fondi europei e quant’altro a loro disposizione per sopravvivere, non per innovare.

DS ADELE VAIRO: Lei ha ragione, però sulle scelte politiche ministeriali non credo sia dato fornire assist. È ovvio che io, come dirigente scolastica, auspicherei che su questa disposizione normativa di divieto dell'utilizzo del cellulare - che le ripeto e ribadisco, per me personalmente è un chiarimento doveroso - ci fosse un intervento sui fondi. Questo chiarimento ministeriale andava assolutamente fatto perché noi dirigenti scolastici e i docenti avevamo la necessità di un chiarimento forte per l'utilizzo di questo dispositivo personale che ci ha creato tanti problemi anche nella regolamentazione d'istituto. Nel momento in cui c'è un divieto posto dal ministro, noi possiamo realmente a cascata andare ad applicare la normativa.

LVDS:  Intanto ci ritroviamo con scuole bene attrezzate e proiettate in avanti e tante, tantissime scuole che improvvisano. Praticamente due scuole a due velocità diverse.

DS ADELE VAIRO: Però questa digitalizzazione è funzione dell'autonomia. Nel tempo anch'io avrei potuto pensare di digitalizzare il Manzoni, ho fatto altre scelte. Fino a ieri non c'era questa necessità. La scuola di serie A e la scuola di serie B non dipendono tanto dal contesto digitale, dipendono dalla qualità dell'offerta formativa, dai tipi di gestione.

Qui la dirigente tocca un punto cruciale. Dice che lei "avrebbe potuto" digitalizzare prima, ma ha fatto "altre scelte". È l'autonomia, dice. Ed è vero. Ma è anche il dramma di un Paese dove tutto dipende in larga misura dalle scelte individuali, dalla sensibilità del singolo, dalla sua capacità di vedere oltre. Non c'è un progetto nazionale, non c'è una visione sistemica. C'è il dirigente illuminato e quello che non lo è. C'è la scuola che ce la fa e quella che non ce la fa. E alla fine, inevitabilmente, le due Italie si creano anche nella scuola.

LVDS:  Lei mi sta dicendo che la digitalizzazione, con anni di documenti ministeriali e linee guida che la dipingevano come la panacea di tutti i mali della scuola italiana, in realtà è sopravvalutata?

DS ADELE VAIRO: Io non credo che sia il problema digitale ad animare una scuola che non è al passo con i tempi. Mi sembrerebbe depauperare l'idea culturale della scuola. La scuola ha necessità di innovarsi, la multimedialità è sicuramente un medium importante, ma non è l'unico.

Fa riflettere la convinzione della dirigente: il problema della scuola non e’ il digitale. Vairo lo dice con semplicità. Perché in fondo abbiamo passato anni a pensare che bastasse riempire le scuole di computer e tablet per risollevare l'istruzione italiana. Lasciando intendere che il problema fosse tecnologico e non culturale, organizzativo, sociale. Come se una LIM potesse sostituire la passione di un insegnante o la curiosità di uno studente.

LVDS:  Ultima questione, dirigente, e qui tocchiamo un nervo scoperto. Mi risulta che molti suoi colleghi, di fronte all'impossibilità di fornire tablet a tutti i docenti, abbiano fatto un discorsetto ai collegi: "Ragazzi, la legge è legge, i cellulari degli studenti li ritiriamo. Ma voi, per il registro elettronico e tutto il resto, usate pure il vostro smartphone, fate finta di niente". Insomma, l'ennesima pezza creativa dei dirigenti scolastici costretti a far fronte all'ennesima situazione che altrimenti sarebbe ingestibile. Non le sembra che alla fine, come sempre, tutto ricada sulle singole autonomie e sulle spalle del dirigente di turno?

DS ADELE VAIRO: Ci sono dei mezzi per cercare di far funzionare tutto nel rispetto totale della legge, anche per i professori. Domani qui da noi abbiamo una riunione dell'Innova Team che credo sia uno degli strumenti gestionali deputati a risolvere il problema. Alla lettura della nota del ministro ci siamo posti questo problema. Io in collegio non ho dichiarato nulla perché uscirò con una norma, con una direttiva funzionale dopo un incontro di staff sul problema. Quello che ho detto in collegio, e l'ho detto forte e chiaro, è che la normativa del divieto dell'utilizzo del cellulare vale per tutti: un docente che utilizza il cellulare anche per le sue cose personali durante la lezione è un caso. Quindi ho esortato i miei docenti ad evitare questi atteggiamenti che oggi compete al dirigente stoppare e che sono anche perseguibili.

LVDS: In sostanza, vi si chiede di creare una specie di zona franca, un mondo parallelo senza smartphone, mentre fuori tutto va avanti come prima e la responsabilita’ di far funzionare tutto tocca al capo di istituto. E’per questo che tocca trovare invenzioni al limite del rispetto della norma?

DS ADELE VAIRO: Ma io non so neanche se si possa fare. È come dire che in una scuola si deve trovare l'aula fumatori: c'è un divieto di fumo, c'è un divieto di utilizzo, punto. Non c'è null'altro da garantire.

LVDS: Insomma, qualche ragione c’era quando dicevano che eravate "sceriffi"…

DS ADELE VAIRO: A noi viene chiesto di fare gli sceriffi in molti sensi. È una questione omnicomprensiva della responsabilità del dirigente scolastico che ne fa anche una figura apicale di dirigenza atipica. È un problema sistemico. Noi siamo nella fase della valutazione dei dirigenti, che è una faccenda seria che dovrebbe tendere alla sospirata perequazione della dirigenza scolastica rispetto ad altre dirigenze pubbliche. Resta l'atipicità nella figura del dirigente scolastico. Con la nuova normativa si irrigidisce senz'altro il ruolo di vigilanza e controllo del dirigente. La pretesa sulla dirigenza - pretesa in senso giuridico-normativo - è quella di una situazione di controllo e di verifica della dirigenza sul personale in servizio e sull'utenza sicuramente molto più cogente che non in passato.

La dirigente parla di "dirigenza atipica". Perché è proprio questo il paradosso dei dirigenti scolastici italiani che riflette forse quello generale della scuola nel nostro Paese: i dirigenti sono manager ma anche educatori, sono funzionari pubblici ma anche visionari, sono controllori ma anche leader pedagogici. Devono rispondere al Ministero ma anche ai genitori, agli studenti, ai docenti. Devono innovare ma anche rispettare le regole, spendere i fondi europei ma anche controllare che nessuno usi il cellulare. È una figura impossibile, in un sistema impossibile. Eppure dirigenti come Adele Vairo sembrano riuscirci. Come? Forse perché in fondo, nonostante tutto, credono ancora che la scuola possa cambiare le cose. E forse hanno ragione.

Uscendo dal Liceo Manzoni resta la sensazione di una scuola che funziona nonostante il sistema, non grazie ad esso. Alla fine, il quadro che emerge è quello di un Paese che procede a strappi, dove le regole arrivano dall’alto senza un disegno complessivo, e l’innovazione si regge più sulla buona volontà dei singoli che su un progetto nazionale.

Il divieto degli smartphone può anche apparire un segnale di ritorno all’ordine, ma (come al solito e non solo per la scuola) senza investimenti strutturali rischia di restare solo un gesto simbolico, destinato a scaricare ancora una volta sulle scuole, dei professori e dei dirigenti la gestione dell’ingovernabile. La verità è che non basta vietare: serve costruire alternative concrete, accessibili a tutti, perché la scuola non diventi il luogo delle diseguaglianze tecnologiche. Ma serve soprattutto una visione politica chiara, che smetta di delegare al miracolo individuale di una dirigente straordinariamente volitiva e straordinariamente tenace, il compito di colmare le lacune di sistema. Fino a quando non ci sarà questo scatto, continueremo ad avere due Italie dell’istruzione: quella che sperimenta e quella che arranca. E sarà difficile, per i nostri studenti, credere che davvero il futuro passi da qui.

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