Lettera del Gruppo Mobilità intercompartimentale docenti

La mobilità intercompartimentale può rappresentare una seria alternativa al rischio burnout, problema su cui in maniera encomiabile l’attuale Parlamento sta indagando

A cura di Redazione Redazione
24 dicembre 2025 12:39
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MOBILITÀ INTERCOMPARTIMENTALE DOCENTI

Agli On. Deputati e alle On. Deputate della Repubblica

Alle Senatrici e ai Senatori

Al Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Giorgia Meloni Al Ministro del Ministero Istruzione e del Merito, Prof. Giuseppe Valditara

Al Ministro della Funzione Pubblica, On. Paolo Zangrillo

Al Ministro dell’Economia e delle Finanze, On. Giancarlo Giorgetti

Illustrissime ed illustrissimi,

sono passati più di vent’anni da quando, mediante la legge 311/2004, veniva interdetta la Mobilità intercompartimentale al personale scolastico.

L’impedimento nasceva in seguito al blocco del turnover del pubblico impiego che esentava la nostra tipologia di personale, ma di fatto l’escludeva dalla mobilità intercompartimentale. L’intento del legislatore a quel tempo poteva essere anche comprensibile, in quanto il comparto era l’unico esente al blocco delle assunzioni.

Di fronte, però, c’era una condizione lavorativa molto diversa da quella attuale. Era stata introdotta da poco la Riforma Moratti del 2003 sull’ordinamento scolastico, ma non si erano ancora affrontate le riforme successive che avrebbero radicalmente cambiato la Scuola. E, di conseguenza, la professione docente. Tra queste, peraltro, si aggiungeva in seguito la legge 107/2015. Tale normativa contribuiva a chiudere definitivamente la mobilità intercompartimentale al personale scolastico.

Nel 2004 la burocrazia nel lavoro dell’insegnante era rappresentata soltanto dalla stesura delle programmazioni di inizio e fine anno scolastico e dai verbali dei consigli di classe, stesi dal segretario del Consiglio, che per praticità spesso coincideva con il coordinatore. A queste pratiche si aggiungevano i Collegi docenti e gli incontri Scuola-famiglia. Per il resto l’insegnante poteva dedicarsi alla didattica e a tutto ciò che ne conseguiva: non era poco, peraltro, considerata la preparazione delle lezioni e delle verifiche e la correzione di quest’ultime.

Alla situazione illustrata, va aggiunto inoltre un altro aspetto, che riteniamo fondamentale.

Nello stesso 2004 un docente, in quanto lavoratore dipendente, accedeva alla pensione a 57 anni di età e 35 di contributi, oppure 38 anni di contributi senza limiti di età (secondo la circolare INPS n. 2/ 1998).

Oggi la nuova professione docente chiede all’insegnante di essere contemporaneamente psicologo, pedagogo, intrattenitore, esperto informatico. Deve adottare numerose metodologie diverse e seguire ogni anno corsi di formazione, specie relativi al contesto digitale, oltre che, naturalmente, risultare esperto della propria disciplina. Qualcuno vorrebbe pure che fosse all’occorrenza medico e infermiere. Senza contare la presenza di una didattica interdisciplinare che comporta un continuo confronto con i colleghi, come nel caso dell’Educazione civica.

I carichi burocratici sono aumentati notevolmente: le riunioni si sono moltiplicate, le mail sopraggiungono ad ogni ora della giornata; le chat dei colleghi non smettono mai di generare notifiche. Anche il registro elettronico, osannato da alcuni, ha in realtà contribuito a burocratizzare ciò che prima era veloce e intuitivo, in cambio di un conteggio, forse più veloce, delle assenze degli allievi a fine anno. Inoltre attraverso questo strumento passano tutte le informazioni non solo degli studenti, ma anche del personale scolastico. Spesso tra riunioni e lezioni diventa difficile trovare il tempo persino per la pausa pranzo: e senza buono pasto, naturalmente. I giorni liberi sono trascorsi quasi sempre a correggere verifiche, riducendo drasticamente i tempi per la vita privata.

La professione è soggetta a un forte rischio burnout, come evidenzia da circa trent’anni l’esimio Dottor Vittorio Lodolo D’Oria, e come emerge dai numerosi studi relativi al nostro settore, che fotografano una categoria allo stremo per stress psico-fisico.

Inoltre la nostra professione risulta scarsamente considerata dalla società. Da una parte il vecchio stereotipo delle 18/24 ore a settimana è duro a morire; dall’altra, negli ultimi anni, la categoria docente è diventata bersaglio di numerosi atti di violenza e di intimidazione che l’hanno trasformata in una professione a rischio. Pur apprezzando gli sforzi di salvaguardare la nostra incolumità da parte di questo Governo e del Ministro Valditara, è innegabile che la figura dell’insegnante abbia perso la sua autorevolezza. Chiunque può mettersi a contestare il metodo di insegnamento e le valutazioni, specie se quest’ultime non corrispondono alle aspettative dei genitori. In passato se un allievo non studiava era colpa sua; oggi le colpe ricadono sull’insegnante.

A tutto questo vanno aggiunte le incombenze che erano già presenti nel lavoro del docente del 2004, ma con delle differenze. Per esempio il coordinatore di classe, figura in teoria non obbligatoria, è diventato una sorta di parafulmine costretto ad impegnare decine e decine di ore del suo tempo, non retribuite in maniera adeguata rispetto all’impegno profuso. Inoltre la personalizzazione del percorso degli allievi richiede per ogni docente un lavoro più impegnativo, sia in fase di progettazione sia di verifica. E ognuno di essi segue 70, 100, 150 allievi all’anno, a seconda delle discipline. Insomma: si tratta di un labirinto di lavoro sommerso, non riconosciuto nella professione “delle 18 ore settimanali”. E si tratta di seguire quasi sempre minori, verso cui c’è bisogno della massima attenzione.

In relazione al collocamento in pensione oggi gli insegnanti (se si eccettuano le colleghe dell’infanzia) non possono accedere allo stato di quiescenza prima di 67 anni e tre mesi; si vocifera da tempo l’ipotesi che i nati negli anni Settanta debbano attendere, per uno strano scherzo del destino, i 70 anni d’età. E questa cosa risulta grottesca rispetto al contesto in cui il docente si trova oggi ad insegnare e a tutto quel che è richiesto dalla sua funzione. Non osiamo pensare cosa potrebbero dire agli insegnanti tra quindici anni: saranno costretti s prendere in considerazione un ulteriore spostamento in avanti del collocamento a riposo?

Oltre questo quadro che dipinge in maniera inequivocabile alcune delle differenze insite tra la Scuola del 2004 e quella di oggi, occorre aggiungere la semplice aspirazione del docente nel potersi spostare in un altro campo della PA, come avviene per gli altri colleghi del Pubblico impiego. Tale considerazione può nascere dal desiderio di effettuare una carriera che nella docenza non esiste, se non nell’assumere la funzione del Dirigente Scolastico, oppure nel cimentarsi in un altro contesto lavorativo dello Stato. Desiderio che appare maggiormente legittimo, considerato il citato aumento dell’età pensionabile e l’allungamento della vita lavorativa.

Senza alcuna polemica occorre ricordare inoltre che anche se l’aspettativa di vita aumenta, il 67nne rimane delle forze di un 67nne e non acquisisce una salute di ferro, rispetto alle energie psico-fisiche necessarie per l’insegnamento nella Società contemporanea.

C’è un altro aspetto infine che vorremmo sottolineare: a partire dal 2019 sono state centinaia di migliaia le assunzioni effettuate dai Governi che si sono succeduti.

È un fattore che abbiamo salutato con gaudio, in quanto opportunità per le nuove generazioni, ma al contempo tali assunzioni certificano che il blocco del turnover, alla base dell’impedimento della mobilità intercompartimentale per i docenti, non esiste più. E occorre ricordare ancora, a dirla tutta, che quella generazione nata tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Ottanta, in gioventù, ha subito quel blocco del turnover.

Per quale motivo quindi impedire agli insegnanti e al personale scolastico tale possibilità?

Alla luce di tali considerazioni, con la presente lettera aperta il Gruppo Mobilità intercompartimentale dei docenti, che da circa due anni e mezzo lamenta la situazione citata, vi invita a prendere in considerazione il superamento di fatto dei limiti espressi dalla legge 311/2004, ed ad aprire alla mobilità intercompartimentale per il personale scolastico.

Allo stato attuale il gruppo è composto da più di 8100 insegnanti: tali numeri sottolineano la presenza di un problema sentito da almeno una parte della categoria.

La mobilità intercompartimentale può rappresentare una seria alternativa al rischio burnout, problema su cui in maniera encomiabile l’attuale Parlamento sta indagando, e contribuire alla riduzione del personale precario del comparto.

Inoltre è una misura di equità e di pari opportunità, ma nella sua attuale limitazione pone il personale scolastico in condizione di disuguaglianza rispetto al resto del Pubblico impiego, rischiando di determinare un personale pubblico di serie B.

La mobilità intercompartimentale è infine una misura di crescita per la stessa PA, luogo dove i componenti del gruppo vorrebbero continuare a servire lo Stato, con le proprie competenze e professionalità che hanno contraddistinto il loro servizio fino a questo momento.

Per favore, pensateci.

Illustrissime ed illustrissimi: vi ringraziamo della vostra preziosa attenzione e porgiamo i nostri migliori auguri per un sereno Natale e un felice 2026.

Distinti saluti.

Gruppo Mobilità intercompartimentale docenti

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