Lo sciopero invisibile: cronache di un venerdì qualunque
Quando scioperare diventa routine: il racconto di una protesta che non disturba nessuno, in un paese dove rivoltarsi e' routine
di un osservatore disincantato
C'è stato uno sciopero oggi. O forse no. In realtà non si è capito bene, perché nelle scuole italiane tutto è filato liscio come un'interrogazione programmata. Il 4% di adesione — ma siamo ottimisti, diciamo 3,7% — è una percentuale che in altri contesti chiameremmo "margine di errore statistico". Qualcuno era assente, certo, ma potrebbe essere stato per il maltempo, per un certificato medico opportunamente datato, o semplicemente perché era venerdì e il weekend inizia giovedì sera.
La CGIL ha indetto lo sciopero con la solennità di chi annuncia una rivoluzione. I comunicati si sono susseguiti, le parole d'ordine risuonavano solenni: diritti, dignità, giustizia sociale. Peccato che i diretti interessati abbiano risposto con l'arma più devastante dell'arsenale italiano: l'indifferenza educata.
Non che manchino le ragioni per scioperare, intendiamoci. Il problema è che ormai si sciopera con la regolarità di un calendario liturgico: un venerdì sì e uno no, con qualche martedì infrasettimanale per non perdere l'allenamento. Lo sciopero è diventato come il caffè al bar: fa parte della routine, ma non ci fai più caso.
I sindacati sembrano aver scoperto la formula magica della perpetuazione: se proclami abbastanza scioperi, prima o poi qualcuno noterà che esisti. È un po' come gridare "al lupo" ogni settimana — con la differenza che qui il lupo non arriva mai, e dopo un po' nemmeno i pastori si voltano più.
Gli insegnanti, dal canto loro, hanno sviluppato un'immunità sindacale degna di studio. Dopo decenni di proclami, vertenze, mobilitazioni e promesse, hanno imparato che l'unica cosa che cambia davvero è la data sullo smartphone. Le loro battaglie le combattono ogni giorno in trincea — quella della classe — dove nessun sindacalista mette mai piede.
Il paradosso è che mentre lo sciopero dovrebbe essere l'arma estrema, il grido disperato di chi non ha altre vie, in Italia è diventato il rumore di fondo della democrazia. Come il traffico: c'è sempre, dà fastidio, ma ormai ci conviviamo. Anzi, se un venerdì non ci fosse sciopero, qualcuno si preoccuperebbe.
E così oggi, mentre la CGIL contava orgogliosamente i suoi manifestanti — probabilmente gli stessi delle ultime quindici volte — milioni di italiani sono andati al lavoro. Non per eroismo o senso del dovere. Semplicemente perché avevano altro da fare che partecipare all'ennesima liturgia della protesta fine a sé stessa.
Lo sciopero invisibile è la metafora perfetta del nostro tempo: molto rumore per nulla, tanta burocrazia della rivolta, zero conseguenze. Un paese normale si chiederebbe se ha senso continuare così. Ma l'Italia non è un paese normale: è un paese che ha trasformato anche la protesta in routine amministrativa.
Forse la vera ribellione, oggi, sarebbe stata dichiarare solennemente di non voler proclamare lo sciopero. Sarebbe stata una rivoluzione. Letteralmente...