Quando Alberto Moravia intervistò Claudia Cardinale
Nel 1962, Alberto Moravia intervistò la diva Claudia la Cardinale,concentrandosi esclusivamente sul suo corpo, trattandola, cioè,come un oggetto


Per i rapporti di Alberto Moravia con il cinema, occorre muoversi, almeno, lungo tre (o quattro) direttrici: 1. il suo lavoro come soggettista, trattatista e sceneggiatore; 2. il suo impegno diretto come regista (attestato, a oggi, a una sola circostanza, nel 1951, per la pellicola Colpa del sole); 3. la sua lunga militanza come critico cinematografico, iniziata ufficialmente nel 1944, con tanto di firma, non più con pseudonimi, o addirittura in forma anonima, una volta venuta meno, o allentatasi, la morsa della duplice censura fascista su di lui, in quanto soggetto pericoloso, cugino dei fratelli Rosselli (assassinati in Francia, nel 1937, per mano di estremisti di destra francesi, su ordine dei fascisti italiani), e in quanto ebreo (per parte di padre, Carlo Pincherle); 4. i film tratti dai suoi racconti e dai suoi romanzi, per i quali, in ogni caso, collaborò quasi sempre alla stesura del soggetto, o del trattamento, o della sceneggiatura, e anche perché supervisionò i lavori, e diede sempre spunti e idee al regista, e/o agli sceneggiatori. Aggiungerei, inoltre, ma come impegno occasionale, che nel 1967, Moravia presiedette la Giuria della 28° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia (quell’anno, il Leone d’oro andò a Luis Buñel; il Leone d’argento, ex-aequo, a Marco Bellocchio e a Jean-Luc Godard; tra i cineasti italiani in gara, oltre al vincitore, erano presenti Tinto Brass, Pier Paolo Pasolini, Paolo e Emilio Taviani, Nanni Loy, e Luchino Visconti).
Come ha scritto, di recente, Simone Casini (in Prospettiva Pasolini), fine interprete di Moravia, e curatore di molte sue opere, nei primi anni Sessanta del secolo scorso, «Moravia era il cinema italiano». Parte integrante di quel mondo, pur restandone sullo sfondo, ma garantendo, con la sua presenza attiva, autoriale, «la dignità letteraria (la qualità) di un’industria cinematografica altrimenti incline a logiche di profitto». Continua a far notare Casini, che per Moravia, in opposizione all’atteggiamento coevo assunto da Pier Paolo Pasolini, suo grande amico, che, in un saggio del 1966, apparso su «Nuovi Argomenti» (la rivista diretta da Carocci e Moravia), giunse a teorizzare la sceneggiatura come genere letterario nuovo e specifico (La sceneggiatura come “struttura che vuol essere altra struttura”), lo scrittore si presta al cinema, anzi, si vende a esso, in qualità di soggettista, o disceneggiatore, per ragioni squisitamente economiche. Nel romanzo Il disprezzo, del resto, già nel 1954, Moravia avrebbe raccontato proprio questa “alienazione” dello scrittore, nei confronti della macchina del cinema, con la storia di Riccardo Molteni, scrittore che, dopo il matrimonio, per esigenze economiche, si vede costretto a lavorare come sceneggiatore, per tirare avanti.
Il mondo del cinema, agli occhi di Moravia, era dunque un mondo industriale, poco (o nient’affatto) artistico, a partire dalla banalissima constatazione dello strapotere del produttore, in quanto portare delle istanze economiche e industriali del cinema, finanche rispetto al regista (figuriamoci rispetto allo sceneggiatore), ma che, comunque, producendo, in ogni caso,sullo spettatore, emozioni, finiva per oscillare, in maniera contraddittoria e dissociata, tra economia ed estetica.
Nel 1962, Alberto Moravia intervistò la diva Claudia la Cardinale,concentrandosi esclusivamente sul suo corpo, trattandola, cioè,come un oggetto. Claudia Cardinale trovò adeguato questo atteggiamento di Moravia; cioè, che l’intervistatore finisse per chiederle soltanto del suo corpo, visto che quello era lo strumento del suo essere attrice: «Io usavo il mio corpo come una maschera, come rappresentazione di me stessa». L’intervista fu pubblicata sulla rivista statunitense Esquire (che si occupava quasi esclusivamente di moda maschile, quindi, con un pubblico di lettori maschile), con il titolo The next goddess of love (La nuova dea dell’amore), successivamente, ampliata, l’intervista diventò un libro, con il titolo La dea dell'amore (1963).
Durante l’intervista, Claudia Cardinale si rese conto, con un certo compiacimento divertito, che proprio il suo corpo metteva, in realtà, il suo intervistatore a disagio, che la vedeva e la trovava molto simile ai suoi personaggi letterari femminili. Qualche anno dopo, nel 1964, Claudia Cardinale interpreterà proprio un film, Gli indifferenti, con la regia di Francesco Maselli, e con Rod Steiger come protagonista, tratto dall’omonimo romanzo di Moravia, del 1929 (il soggetto del film lo curò Moravia, e la sceneggiatura, invece, Suso Cecchi d’Amico, con la collaborazione del regista).