Supplenze temporanee, fisionomia di un sistema che non va. O si vuole che non vada?
Ormai ci abbiamo fatto l’abitudine: come puntualmente accade, e nonostante le rassicurazioni della vigilia, anche quest’anno la Legge di Bilancio presenta al mondo della scuola il solito conto salato
Tra le anticipazioni che stanno facendo più discutere c’è la previsione secondo cui, a modifica del comma 85, art. unico della “legge Renzi” (107/15), nella scuola secondaria il dirigente scolastico deve, salvo motivate esigenze di natura didattica, coprire le assenze inferiori ai dieci giorni dei docenti su posto comune - vale a dire non di sostegno - utilizzando personale dell’organico dell’autonomia. Una parolina che cambia molte cose: se prima era un “può”, ora diventa un dovere.
Fuori dai tecnicismi, se un prof si assenta fino a 10 giorni (e non sono pochi, nell’economia di un anno scolastico) non si può più chiamare un supplente, ma bisogna organizzarsi con personale interno: non semplice, soprattutto se in quel momento non si dispone di docenti abilitati all’insegnamento della disciplina rimasta scoperta: si rischia così che, se si ammala il docente di Scienze, lo si debba “sostituire” con quello di Italiano, alla faccia della continuità didattica e della qualità dell’insegnamento. L’unica “scappatoia” sembra essere quella di giustificare un eventuale ricorso a supplenti esterni con “motivate esigenze didattiche”, ma sarà tutto da vedere. Detto per inciso, DirigentiScuola è stata tra le prime organizzazioni sindacali di categoria ad esprimere la propria preoccupazione per una misura che pare rispondere esclusivamente a logiche di contenimento della spesa, a tutto detrimento dell’offerta formativa.
In attesa di capire come evolverà la situazione, vale la pena allargare gli orizzonti del dibattito: non ci sarebbe un altro modo di gestire un sistema tanto farraginoso che, obiettivamente, rappresenta per lo Stato una criticità anche in termini di spesa? Bisogna innanzitutto avere il coraggio di ammettere che, nell’attuale fisionomia frutto di pezze, rattoppi, cerotti e interventi-tampone, proprio non va: non c’è anno scolastico e non c’è scuola in cui alunni e famiglie non lamentino discontinuità, disagi, ritardi nell’arrivo dei supplenti e via discorrendo.
Invece di fossilizzarsi sulla durata minima delle assenze “copribili” con personale interno e delle conseguenti supplenze, perché non cambiare registro? Gli esempi in Europa non mancano, e qualche indicazione può arrivare anche dal nostro passato: senza indulgere nei panni dei laudatores temporis acti, l’art. 14 della L. 270/82, preso atto di quanto statuito dalla 517/77 (un pilastro dell’integrazione - oggi inclusione - scolastica), determinava l’impiego delle cosiddette “dotazioni aggiuntive”, una sorta di organico del potenziamento ante litteram che però, a differenza di quest’ultimo, veniva davvero incontro alle reali esigenze didattiche delle scuole.
Allora ci si riferiva soprattutto agli alunni con difficoltà, ma il modello potrebbe funzionare agevolmente, fatti i debiti aggiustamenti, anche per le sostituzioni temporanee di colleghi assenti, ripartendo proporzionalmente l’organico aggiuntivo assegnato alle scuole per classi di concorso e soprattutto rendendolo stabile. Del resto, senza nemmeno andare troppo indietro nel tempo, quando non correva l’obbligo, per ogni docente delle secondarie, di assicurare 18 ore tutte in classe, ogni scuola accumulava un “tesoretto” da impiegare anche per sostituire i colleghi.
Oggi c’è l’organico dell’autonomia, si dirà: ma avete provato a calcolare le ore effettive di potenziamento assegnate ad una scuola superiore di medie dimensioni? Pensate che siano sufficienti a garantire l’immediata sostituibilità dei colleghi assenti con insegnanti non diciamo della stessa materia, ma almeno di discipline affini con la necessaria continuità? La risposta è un deciso no, anche perché - come sappiamo - le cattedre di potenziamento nascono in origine per risolvere l’annoso problema delle allora “graduatorie ad esaurimento”, col risultato di privilegiare le esigenze di assorbimento del personale rispetto, guarda un po’, a quelle di natura didattica. Con risultati spesso paradossali: come quel dirigente di Liceo scientifico che si è trovato a gestire per ben 8 anni scolastici un’intera cattedra di potenziamento in Discipline plastiche, che pur con tutta la creatività del caso (le pareti della scuola sono ormai ricoperte di splendidi bassorilievi ispirati alla storia delle grandi scoperte scientifiche) non ha molto a che fare con gli indirizzi attivi nell’istituto.
Insomma, i punti nodali nella “partita” delle supplenze temporanee sono la coerenza degli insegnamenti a disposizione delle scuole, la continuità didattica e l’immediata disponibilità di personale incaricato di sostituire i colleghi, magari uscendo dalla retorica per cui fare da “sostituto” appare di per sé demansionante: tanto la necessità c’è, la si chiami in un modo o nell’altro, così come non mancano i docenti qualificati, in molti casi già idonei o vincitori di concorso, desiderosi di entrare stabilmente, come primo passo della carriera, nell’organico di un’istituzione scolastica, senza disagevoli “valzer” in giro per l’Italia (quelli sì davvero umilianti).
In perfetta coerenza con la nostra idea di rivalutare l’istituto dei “presidi incaricati”, assegnando a chi è già nelle graduatorie una sede temporanea in attesa dell’assunzione definitiva, la proposta di DirigentiScuola è istituire per i docenti un organico aggiuntivo, stabile per ogni scuola e proporzionalmente assegnato alle classi di concorso coerenti con l’offerta formativa di istituto, destinato a reali attività di recupero, consolidamento, rafforzamento delle competenze e degli apprendimenti e anche, finalmente, a una proficua ed efficace sostituzione dei colleghi temporaneamente assenti. Così si uscirebbe una volta per tutte da un meccanismo obsoleto che non è utile a nessuno. Forse nemmeno, a conti fatti, per realizzare il tanto agognato risparmio di cassa.
D’altra parte cosa c’è da risparmiare ancora? L’Italia, dati alla mano, è da anni fanalino di coda europeo per gli investimenti in istruzione (la media dell’area UE ci supera di oltre due punti percentuali). Spendiamo poco e lo facciamo pure male: ma perché, una volta tanto, non avere l’umiltà di mettere il naso fuori dalla porta di casa e andare a vedere cosa fanno gli altri? Troveremmo belle sorprese e magari, chissà, anche qualche buona idea.
L'occasione è gradita per porgere i più cordiali saluti,
Simone Finotti
Addetto Stampa DirigentiScuola Dis.Conf