BONUS MAMME - La Consulta solidarizza con le madri precarie, è “la sola categoria del tutto esclusa da ogni beneficio”
Non può intervenire sulle risorse limitate: spetta al legislatore dare “coerenza sistematica dell’intero disegno”
La Corte Costituzionale non concede il via libera al Bonus mamme anche per le lavoratrici precarie, ma nello stesso tempo bacchetta pesantemente il legislatore perché d’ora in poi sostenga economicamente le lavoratrici madri: esprimendosi sul ricorso - del Tribunale di Milano, che dopo aver disatteso le eccezioni preliminari dell’ente previdenziale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 180 e 181, della legge n. 213 del 2023 - contro il “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026”, nella parte in cui non estende, alle lavoratrici madri con rapporto di lavoro dipendente a tempo determinato e a quelle con contratto di lavoro domestico, l’esonero dal pagamento della quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, previsto per gli anni 2024-2026 a favore delle lavoratrici con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, la Consulta ha emesso un parere che non passerà inosservato.
La Corte - con la sentenza n. 159/2025 - ha infatti spiegato che “i contributi dovuti all’INPS dalle lavoratrici titolari di contratti di lavoro domestico si collocano, nell’ambito di una disciplina speciale che presenta profili di peculiarità, nel calcolo, rispetto a quella concernente le altre lavoratrici dipendenti”, ma “le declaratorie di inammissibilità che precedono, tuttavia, non esimono questa Corte dal sollecitare il legislatore a dare coerenza sistematica dell’intero disegno nel cruciale percorso di sostegno alle lavoratrici madri, in un Paese in cui il tasso di natalità è tra i più bassi d’Europa, identificando interventi strutturali che abbiano capacità di sostenere appieno la maternità”.
Secondo la Corte Costituzionale, inoltre, “non può tacersi che le disposizioni di cui all’art. 1, commi 180 e 181, della legge n. 213 del 2023 presentano – in un contesto di risorse limitate e rispetto al quadro sistematico – diverse criticità. Non è oggettivamente chiara la loro ratio. Esse introducono un esonero totale dalla contribuzione che favorisce le categorie più abbienti, data l’assenza di un limite di reddito o di retribuzione e considerata la sola previsione del tetto massimo di 3.000 euro, ma escludono del tutto la categoria delle madri con contratto di lavoro a tempo determinato; queste ultime, tuttavia, non sono del tutto pretermesse, sul piano sistematico, in quanto comunque beneficiano, fino a una certa soglia di retribuzione, del generale, ma parziale, esonero contributivo di cui all’art. 1, comma 15 della stessa legge, senza però che venga in considerazione la circostanza del loro essere madri”.
La Consulta ha aggiunto che “la sola categoria del tutto esclusa da ogni beneficio è quindi, in realtà, nell’ambito ora considerato, quella delle madri con contratto di lavoro a tempo determinato la cui retribuzione imponibile mensile supera i 2.692 euro, dove, invece, quelle a tempo indeterminato che superano anch’esse tale importo, data l’alternatività tra l’esonero totale e quello parziale di cui di cui all’art. 1, comma 15, della legge n. 213 del 2023, non possono cumularli e usufruiscono solo del primo (pari al massimo a 250 euro mensili)”.
Tuttavia, secondo la Corte Costituzionale, “in questo quadro complessivo sopra descritto, a questa Corte, nonostante le criticità rilevate, è impedito, nel limite dei suoi poteri, intervenire per estendere la platea delle destinatarie. Viene peraltro in rilievo che il legislatore si è gradualmente corretto, fino a giungere alla sostanziale parificazione delle fattispecie delle lavoratrici a tempo determinato e indeterminato. Dato normativo, questo, di sicura rilevanza, coerentemente con quanto statuito nei casi decisi da questa Corte con le sentenze n. 75 del 2025, n. 262 del 2020 e n. 187 del 2016”, concludono i giudici della Consulta.
Gli avvocati con operano per il sindacato Anief, nel frattempo, hanno già vinto diversi ricorsi in tribunale invocando l'applicazione del diritto euro-unitario e il principio di non discriminazione facendo assegnare fino a 3 mila di rimborsi contributi alle supplenti precarie del personale della scuola.
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