Emergenza docenti di ruolo fuorisede legge 107/2015: fino a 90.000 € di spese abitative e richiesta di priorità di rientro nella mobilità 2026

Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani ritiene non più rinviabile una presa di posizione chiara e responsabile sulla gravissima condizione economica e sociale in cui versano migliaia di docenti di ruolo fuorisede

A cura di Redazione Redazione
27 dicembre 2025 18:50
Emergenza docenti di ruolo fuorisede legge 107/2015: fino a 90.000 € di spese abitative e richiesta di priorità di rientro nella mobilità 2026 -
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Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani ritiene non più rinviabile una presa di posizione chiara e responsabile sulla gravissima condizione economica e sociale in cui versano migliaia di docenti di ruolo fuorisede. La questione abitativa e il progressivo impoverimento del personale scolastico non possono più essere considerati effetti collaterali del sistema, ma rappresentano oggi una vera emergenza strutturale che incide sulla dignità del lavoro pubblico e sulla qualità dell’istruzione.

Il contesto generale è noto e documentato. In molte aree del Paese il costo dell’abitare assorbe oltre il 40 per cento del reddito netto mensile, con punte che raggiungono il 60–65 per cento nelle grandi città. In Europa oltre il 30 per cento delle persone a rischio povertà vive in condizioni di sovraccarico abitativo, mentre in Italia, a fronte di circa 9,6 milioni di abitazioni vuote, quasi quattro milioni di persone si trovano in una condizione di povertà abitativa. A questo scenario si affianca una dinamica salariale stagnante: la retribuzione media annua lorda dei lavoratori italiani si attesta intorno ai 33.000 euro, ben al di sotto di quella di altri Paesi europei comparabili.

All’interno di questo quadro già critico, la condizione dei docenti di ruolo fuorisede appare particolarmente grave. Migliaia di insegnanti immessi in ruolo con la legge 107 del 2015 si trovano ancora oggi, a distanza di quasi dieci anni, lontani dalle proprie città di residenza. Quella che doveva essere una fase temporanea si è trasformata, nei fatti, in una permanenza forzata che ha inciso profondamente sulla vita economica, familiare e personale di questi lavoratori.

Le conseguenze economiche sono ormai evidenti e quantificabili. Nell’arco di dieci anni, molti docenti hanno speso esclusivamente per l’affitto cifre comprese tra i 70.000 e i 90.000 euro, somme enormi se rapportate agli stipendi del comparto scuola. A tali costi vanno aggiunti quelli per le utenze, i trasporti, i viaggi frequenti per mantenere i legami familiari, il mantenimento di due domicili e la sostanziale impossibilità di accedere a forme di risparmio o di investimento. Per molti insegnanti, la prospettiva di acquistare una casa o di costruire una stabilità economica è stata completamente compromessa.

Si tratta di un impoverimento progressivo e strutturale, che non deriva da scelte individuali ma da un assetto normativo che ha scaricato sui singoli lavoratori il peso di una mobilità non accompagnata da adeguate tutele. Una povertà silenziosa, che non sempre emerge nelle statistiche, ma che si manifesta nella rinuncia, nell’incertezza e nella difficoltà quotidiana di sostenere spese essenziali. Una condizione che incide anche sul benessere psicologico e sulla qualità del lavoro svolto.

Particolarmente significativa è la situazione dei docenti appartenenti alla classe di concorso A046 – discipline giuridiche ed economiche, chiamati a formare gli studenti sui principi dello Stato di diritto, dell’economia e della cittadinanza consapevole. È una contraddizione evidente che proprio coloro che insegnano il valore delle istituzioni e dei diritti fondamentali siano costretti a vivere in una condizione di fragilità economica che mette in discussione l’effettività di quei diritti.

Le ricadute di questa situazione non riguardano soltanto i singoli docenti, ma l’intero sistema scolastico. La difficoltà a sostenere il costo della vita nelle sedi di servizio contribuisce alla crescente rinuncia ai ruoli, alla scarsa partecipazione ai concorsi in alcune aree del Paese e alla discontinuità didattica. Una scuola che si regge sul sacrificio permanente dei suoi lavoratori è una scuola strutturalmente fragile.

Alla luce di tutto ciò, il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani ritiene che la prossima fase di contrattazione sulla mobilità interprovinciale per l’anno scolastico 2026 debba segnare un cambio di paradigma. È necessario riconoscere formalmente che i docenti immessi in ruolo con la legge 107/2015, dopo anni di servizio svolto lontano dalla propria residenza e dopo un

sacrificio economico ampiamente documentabile, debbano vedersi garantita una priorità assoluta nel rientro nei propri centri di residenza.

Tale priorità non può essere considerata un’eccezione o una concessione, ma una misura di riequilibrio e di giustizia amministrativa, volta a sanare una disparità che si è protratta per un tempo irragionevole. Continuare a trattare queste situazioni come ordinarie significa ignorare l’impatto economico e sociale prodotto da oltre un decennio di permanenza forzata fuori sede.

Il CNDDU rivolge pertanto un appello diretto al Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, affinché la questione venga assunta come prioritaria nell’agenda politica e contrattuale del Ministero e affinché si apra un confronto serio e concreto finalizzato a garantire, a partire dalla mobilità 2026, il rientro effettivo nei territori di residenza del personale immesso in ruolo con la legge 107/2015.

Restituire dignità ai docenti significa riconoscere che non può esistere una scuola solida se chi vi lavora è costretto a vivere in una condizione di precarietà economica permanente. Significa investire nella stabilità delle comunità scolastiche, nella qualità dell’insegnamento e nella credibilità delle istituzioni.

Il CNDDU continuerà a sostenere questa istanza con senso di responsabilità e spirito costruttivo, nella convinzione che il tempo delle attese sia ormai concluso e che una risposta equa e strutturale non sia più rinviabile.

prof. Romano Pesavento

presidente CNDDU

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