I due giorni di memoria e ricordo: la polemica sulle Foibe e la Shoah in un Paese ancora diviso a 80 anni dalla guerra
Ogni anno, il 27 gennaio, l’Italia celebra la Giornata della Memoria, dedicata al ricordo delle vittime della Shoah, mentre il 10 febbraio commemora il Giorno del Ricordo, istituito per onorare le vit...
Ogni anno, il 27 gennaio, l’Italia celebra la Giornata della Memoria, dedicata al ricordo delle vittime della Shoah, mentre il 10 febbraio commemora il Giorno del Ricordo, istituito per onorare le vittime delle Foibe e l’esodo giuliano-dalmata. Nonostante entrambe le ricorrenze siano state concepite per riflettere sulla memoria storica e promuovere la consapevolezza collettiva, la loro gestione e interpretazione continuano a generare polemiche, sottolineando un’Italia ancora divisa su temi legati al passato.
L’ultimo caso emblematico si è verificato all’Istituto cine-tv Rossellini di Roma, dove un dibattito previsto per il Giorno del Ricordo è stato annullato a seguito delle proteste di studenti e collettivi scolastici. L’evento avrebbe visto la partecipazione del senatore Roberto Menia, promotore della legge che ha istituito la ricorrenza, ma le accuse di strumentalizzazione politica e propaganda nazionalista hanno fatto saltare l’incontro, riaccendendo la controversia sul ruolo della politica e della memoria storica nelle scuole.
Memoria e divisioni: due ricorrenze, due narrazioni
La celebrazione del Giorno della Memoria e del Giorno del Ricordo riflette due diverse narrazioni del Novecento italiano, che a distanza di 80 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale continuano a suscitare tensioni. La Shoah rappresenta il culmine dell’orrore nazifascista, una tragedia riconosciuta universalmente e al centro del discorso pubblico italiano ed europeo. Al contrario, il dramma delle Foibe e dell’esodo giuliano-dalmata è stato per decenni relegato ai margini della memoria collettiva, spesso oscurato dal peso della narrazione antifascista.
Negli ultimi anni, il Giorno del Ricordo è stato riscoperto, ma la sua celebrazione è spesso accompagnata da accuse di revisionismo storico e di strumentalizzazione politica. La destra politica italiana lo ha adottato come simbolo identitario, mentre alcune frange della sinistra e dei collettivi studenteschi lo considerano un tentativo di riscrivere la storia, mettendo in secondo piano le responsabilità del fascismo italiano. Questo dualismo si riflette chiaramente nelle polemiche che, ogni anno, circondano le due ricorrenze.
Le parole di Mattarella: un invito alla memoria condivisa che fatica a realizzarsi
Anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione del Giorno del Ricordo, ha sottolineato la necessità di riconoscere il dramma delle Foibe senza strumentalizzazioni. Il Capo dello Stato ha ricordato come per troppo tempo la vicenda delle foibe sia stata sottovalutata e in alcuni casi persino disconosciuta, sottolineando il peso di una memoria negata che ha aggravato il dolore degli esuli e delle loro famiglie.
“Le foibe furono una tragedia nazionale che colpì migliaia di italiani, vittime di un disegno di pulizia etnica attuato con ferocia. Negarlo o ridimensionarlo sarebbe un’offesa alla verità storica. Allo stesso tempo, ricordare non deve significare alimentare divisioni o risentimenti, ma costruire una memoria che sia patrimonio condiviso della nazione”, ha affermato Mattarella.
Il Presidente ha anche riconosciuto come il contesto storico fosse complesso e segnato dalla violenza dei regimi totalitari. Se da un lato ha condannato la “furia omicida” dei comunisti jugoslavi, che colpì anche antifascisti e semplici cittadini colpevoli solo di essere italiani, dall’altro ha ricordato la brutale oppressione fascista nei Balcani, con politiche segregazioniste e violenze perpetrate contro le popolazioni slave.
L’intento di Mattarella è chiaro: provare a superare la contrapposizione tra memoria “di destra” e “di sinistra”, restituendo dignità a tutte le vittime del Novecento. Tuttavia, la realtà politica e culturale del Paese sembra dimostrare che il suo sforzo di riconciliazione rimane inascoltato da entrambe le parti.
Il caso del Rossellini: una scuola al centro del dibattito
L’episodio del Rossellini è la dimostrazione concreta di come il messaggio di Mattarella fatichi a tradursi in pratica. La partecipazione di un politico come Menia, esponente di Fratelli d’Italia, è stata giudicata inaccettabile dai collettivi studenteschi, che hanno definito l’evento una forma di propaganda politica. Gli studenti hanno chiesto che un dibattito su temi così delicati fosse guidato da storici o intellettuali, piuttosto che da esponenti politici.
Dal canto suo, il Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha condannato l’annullamento, definendolo una forma di censura. “Sarebbe grave – ha dichiarato – se a un rappresentante del Parlamento non fosse consentito di parlare in una scuola italiana, dopo essere stato regolarmente invitato”. La sua posizione ha trovato eco nel centrodestra, che ha accusato i collettivi di voler negare la storia e reprimere la libertà di pensiero.
Un passato che continua a dividere
Nonostante gli sforzi istituzionali per costruire una memoria condivisa, il Giorno della Memoria e il Giorno del Ricordo continuano a essere due commemorazioni vissute in modo profondamente diverso nel dibattito pubblico italiano. Se la Shoah è universalmente riconosciuta come il simbolo del male assoluto, le Foibe continuano a essere un terreno di scontro tra revisionismo e negazionismo, tra memoria e politica.
Il problema non riguarda solo la memoria in sé, ma anche il modo in cui viene insegnata e discussa. Le scuole, teoricamente luoghi di dialogo e crescita culturale, rischiano di diventare arene di scontro, dove le divisioni del passato si riflettono sulle nuove generazioni. Questo non fa che alimentare un circolo vizioso in cui la memoria storica, anziché unire, divide ulteriormente.