Necessita’ della mobilita’ intercompartimentale per i docenti
Lavorare stanca, ma insegnare a Scuola logora

Lavorare stanca, ma insegnare a Scuola logora
Se la funzione docente oggi richiede non solo le classiche ore di lezione, di preparazione delle stesse, di correzione a casa degli elaborati, ma tutta una serie di impegni non riconosciuti che imbrigliano dal punto di vista burocratico e sottraggono tempo alla didattica, allora la situazione di partenza cambia.
All’insegnante viene chiesto di essere ad un tempo psicologo, educatore, formatore, punto di sintesi tra la Società e la famiglia, esperto informatico, animatore empatico, facilitatore. E naturalmente raffinato conoscitore della propria disciplina. Inoltre deve confrontarsi con studenti, colleghi, dirigenti, genitori, responsabili di Comunità e personale Ata, per più ore al giorno. Per più giorni a settimana. Per mesi e mesi.
Le ultime riforme hanno aggiunto ulteriore lavoro non riconosciuto alla professione. Basti pensare alla compilazione di tutta una seire di documenti, che secondo alcuni avrebbero a che fare poco o nulla con la didattica. O alla moltiplicazione infinita di riunioni. Queste rischiano di non lasciare il tempo di consumare persino una pausa pranzo in serenità. Senza buono pasto, naturalmente. A queste incombenze vanno aggiunte la digitalizzazione compulsiva che secondo altri osservatori metterebbe addirittura a repentaglio la libertà di insegnamento, dettata dall’art. 33 Cost. Per non parlare poi della compilazione del r.e., delle numerosi circolari da leggere, delle continue mail di colleghi che giungono ad ogni ora della giornata, compreso la domenica, su cui occorrerebbe fissare un chiaro diritto alla disconnessione. E poi informazioni sul sito dell’Istituto, tentativi di inserimento in canali social non istituzionali con infinite chat, nonché tutta una serie di documenti da preparare tra programmazioni, pdp e verbali. Infine occorre ricordare i numerosi corsi di formazione che seguono ogni anno. Le famose 40+40 ore, sorta di contenitore magico in cui sarebbero previste le attività funzionali previste dal contratto, sono solo un ulteriore punta dell’iceberg rispetto al resto dell’impegno profuso dall’insegnante.
Qualcuno tra il serio e il faceto ha affermato che bisognerebbe assegnare un segretario per ogni docente. Al di là di ogni provocazione, la verità è che o si fa il docente o si fa l’impiegato.
Non è possibile essere entrambi per tutta la vita lavorativa. Fino a 67, 70 anni come dicono. Forse tra qualche anno di più. E con classi numerose. Questa situazione, che richiede una notevole e continua mole di energia psicofisica, si ripercuote sulla vita privata dei docenti, che rischia peraltro di non esistere o essere fortemente sacrificata, assorbita dal lavoro infinito richiesto dalla Scuola. Ne scaturisce una sorta di apnea per tutto l’anno scolastico. E questo stato di cose sembra peggiorare con il tempo, con un repentino e continuo cambiamento. Ogni inizio anno, poi, comporta altre incertezze che albergano nella mente dell’insegnante persino quando dovrebbe essere in ferie: come si verrà utilizzati da Settembre? Quali e quanti classi si avranno? A quale sede o plesso si verrà assegnati?
Sì, uno stato di precarietà continua, pur essendo a tempo indeterminato.
A questo quadro va poi aggiunto lo scarso riconoscimento della Società che sembra non apprezzare l’importanza del loro lavoro, con stipendi al palo rispetto al carovita, secondo diversi sindacati, o i rischi di subire violenza, come viene spesso riportato dai Media.
La situazione in cui versa la funzione docente è un dato di fatto. E’ dettato dai tempi e lo si nota con disincanto.
Il lavoro dell’insegnante muta in continuazione, dunque? E’ conseguenziale che diversi docenti chiedano di cambiare lavoro. Tra cambiamenti, incomprensioni e talvolta tradimenti, gli amori finiscono nella Vita. Poiché questo percorso sembra ormai irreversibile, alcuni chiedono un’alternativa allo Stato.
Non può stupire allora che oltre 4850 docenti invochino l’apertura della mobilità intercompartimentale verso altro ramo della P.A. Sono insegnanti che per la maggior parte dei casi hanno servito lo Stato per lustri o decenni; l’hanno fatto con grande impegno e abnegazione e stanno continuando a farlo con la professionalità che li distingue. Altri invece desiderano semplicemente cimentarsi in un’attività diversa, mettendo a disposizione della P.A. le proprie competenze.
Allo stato attuale l’istituto non è consentito al personale della Scuola e costituisce un unicum nel pubblico impiego. Peraltro il docente non può nemmeno transitare negli uffici del Mim (il proprio Ministero!), nonostante periodicamente vengano effettuati dei concorsi. Eppure sono esperti di graduatorie e domande, avendo dovuto effettuare, specie per i colleghi non più giovanissimi, un lungo percorso per arrivare al ruolo.
Il divieto è determinato da un combinato disposto di due norme, la legge 311 del 2004 che prevedeva il blocco del turnover del pubblici impiego e pertanto escludeva il personale della Scuola da ogni possibile mobilità, in quanto il comparto era esonerato dal blocco. A questa si aggiune la legge del 107 del 2015 che ha impedito ulteriormente la possibilità di poter accedere ad altro ramo della P.A., pur prevedendo il distacco e i comandi presso Mim e altri Enti.
Nonostante non sia quindi permessa, la mobilità intercompartimentale dei docenti porterebbe tuttavia a una serie di vantaggi, che qui verranno in parte menzionati.
In primo luogo consentirebbe alla P.A. di beneficiare di tutte le competenze acquisite dagli insegnanti durante gli anni di insegnamento e durante i loro studi antecedenti alla professione. Spesso i docenti non hanno solo la laurea che consente l’accesso al concorso, ma hanno conseguito tutta una serie di altri titoli come dottorati, master, corsi di perfezionamento che portano ad avere conoscenze e competenze che possono rivelarsi una ricchezza per la P.A.
In secondo luogo si potrebbe contare su una tipologia di personale che è comunque abituata a seguire corsi di formazione proposti ogni anno dallo Stato. Quindi non avrebbe problemi, in caso di riconversione, a formarsi per il nuovo incarico. Inoltre potrebbe fare affidamento su del personale che da tempo serve lo Stato nel migliore dei modi, con la massima abnegazione ed è abituato a confrontarsi come abbiamo sottolineato con una molteplice utenza. E sono comunque in contatto, come si è sottolineato, con la burocrazia.
Un altro aspetto importante è la questione del rischio burnout degli insegnanti. Le informazioni che emergono da sondaggi, analisi e soprattutto studi specifici sono preoccupanti. Basti citare il sondaggio effettuato dal Centro Studi Erikson e Università di Padova su il livello di stress dichiarato dall’85% dei docenti intervistati. Di recente l’esimio Dottor Lodolo D’Oria, studioso da oltre trent’anni delle malattie professionali degli insegnanti, ha notato un inquietante incremento nei suicidi degli insegnanti con 110 casi tra il 2014 e il 2024. Il problema colpirebbe soprattutto, in proporzione, il genere maschile. Sulla stessa lunghezza d’onda si sono mossi studi in Francia e Inghilterra che avrebbero individuato da tempo tale rischio nella categoria.
Dopo questi allarmi, le Istituzioni sembrano mostrare nell’ultimo periodo una certa attenzione. La VII Commissione Cultura alla Camera si starebbe interessando al burnout.
Ebbene la mobilita’ intercompartimentale può essere una valida alternativa perché consentirebbe a chi si trova a rischio, o ne fosse colpito, di chiudere con l’ambiente e la situazione che l’ha determinato.
Ora occorre ricordare che il PNNR prevede la mobilità intercompartimentale tra comparti, come si evince tra le pieghe del suo testo a pag. 98, e soprattutto non fa alcuna esclusione del personale della Scuola.
Di recente erano stati presentati emendamenti al DL 45/2025 sul PNRR, atti ad eliminare le parti delle normative che di fatto ingabbiano gli insegnanti. Nonostante l’interesse di Senatrici e Senatori illuminati, sensibilizzati dal Sindacato Anief, gli emendamenti sono stati prima accantonati e poi ritirati.
Tra i contrari all’apertura della mobilità intercompartimentale ci sono coloro che giustificano la situazione richiamando semplicemente le citate normative che la vietano. Altri invece sostengono che le scuole vedrebbero l’esodo degli insegnanti.
Tali giustificazioni suscitano molte perplessità.
Nel primo caso le normative del 2004 sono smentite dal massiccio piano di assunzioni che lo Stato ha iniziato a proporre a partire dal 2018. Sono centinaia di migliaia e continuano anche in questi giorni. Il blocco del turnover nella P.A. di fatto non esiste più. Pertanto le leggi che limitano gli insegnanti non hanno alcuna ragione di essere, e appaiono una gabbia incomprensibile. La legge 107 del 2015 prevede poi centinaia di collocamenti fuori ruolo, quindi non si comprende perché non si possa aprire alla mobilità intercompartimentale.
Ad ogni modo non esistono evidenze che in caso di apertura si verificherebbe un esodo dalla Scuola. Moltissimi insegnanti sono ancora “innamorati” del loro lavoro e, nonostante i cambiamenti, rimarrebbero al loro posto. Poter contare sul fatto di poter cambiare, sarebbe invece garanzia di tenere del personale nel pieno delle energie, conscio di poter contare su un’alternativa non appena le forze o gli stimoli dovessero scemare. Inoltre l’uscita di alcuni insegnanti consentirebbe agli aspiranti più giovani di sostituirli, determinando probabilmente una migliore sintonia tra docenti e discenti dettata da una vicinanza anagrafica e forse da una migliore intuizione nell’uso delle tecnologie nella didattica, tanto cara alle linee del Mim.
Occorre ricordare a questo proposito che la classe docente italiana è tra le più anziane d’Europa, e la mobilità intercompartimentale consentirebbe di svecchiare il comparto. Infine i timori citati non possono giustificare che, in questo momento, il personale scolastico si trovi in uno stato di diseguaglianza rispetto al resto del pubblico impiego.
Alla luce di tali considerazioni è evidente quanto risulti necessario aprire alla mobilità intercompartimentale degli insegnanti. La funzione docente è cambiata e continua mutare in maniera repentina, determinando una serie di incombenze che aumentano il rischio burnout.
Oltre 4850 docenti che hanno servito lo Stato con impegno e abnegazione non si riconoscono più in questo mestiere e vorrebbero prestare le loro competenze al Servizio di un altro ramo della P.A., in cui credono fermamente. Chiedono semplicemente di poterlo fare come avviene per tutti gli altri lavoratori del pubblico impiego.
L’apertura della mobilità intercompartimentale per i docenti non solo permetterebbe numerosi vantaggi per la P.A., ma supererebbe quella che, per molti osservatori, sarebbe una vera e propria discriminazione nei confronti del personale della Scuola rispetto all’art. 3 Cost., al suo principio di uguaglianza.
E’ giunta l’ora che il legislatore superi queste limitazioni.
Sia aperta la mobilità intercompartimentale.
Roberto Cirigliano
Portavoce nazionale per il Gruppo Mobilità intercompartimentale docenti