Sardegna, l'allarme di Eurispes, giovani e violenza di genere: quando lo schiaffo diventa “normale”

La scuola come primo argine culturale

A cura di Redazione Redazione
13 dicembre 2025 11:23
Sardegna, l'allarme di Eurispes, giovani e violenza di genere: quando lo schiaffo diventa “normale” -
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Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani accoglie con profonda inquietudine i dati emersi dall’indagine condotta da Eurispes Sardegna sull’educazione alla parità e al rispetto tra gli studenti sardi. Non siamo di fronte a semplici statistiche, ma a un vero e proprio specchio culturale che riflette come una parte non marginale delle giovani generazioni stia apprendendo — e talvolta giustificando — la violenza all’interno delle relazioni affettive.

Il fatto che quasi uno studente su dieci consideri lo schiaffo un gesto “normale” o addirittura una dimostrazione di affetto rappresenta una frattura profonda nel concetto stesso di dignità della persona. Ancora più grave è la convinzione, condivisa da una quota non trascurabile degli intervistati, che la violenza possa essere resa accettabile dalle circostanze. Quando il rispetto dei diritti fondamentali diventa negoziabile, il rischio è quello di una progressiva anestetizzazione morale che prepara il terreno alle forme più gravi di abuso.

L’indagine restituisce inoltre l’immagine di relazioni giovanili segnate da pratiche di controllo e possesso: la richiesta di modificare il modo di vestire, la pretesa di interrompere relazioni amicali, l’accesso non consensuale allo smartphone del partner vengono spesso percepiti come dinamiche “normali”. È proprio in questa normalità apparente che la violenza si insinua, si maschera da cura, da gelosia, da interesse, tradendo una preoccupante confusione tra amore e dominio.

Ma il dato che più chiama in causa la scuola è quello relativo al silenzio. Tre adolescenti su dieci affrontano la violenza in solitudine; solo il 7,7% trova negli insegnanti un interlocutore credibile a cui affidare il proprio disagio. Questo non può essere letto come una mancanza individuale, ma come un segnale sistemico: la scuola rischia di essere percepita come luogo di istruzione formale, ma non sempre come spazio relazionale sicuro, capace di accogliere la fragilità e intercettare il dolore.

La scuola, tuttavia, non è neutra. Ogni giorno, attraverso linguaggi, silenzi, modelli relazionali e pratiche educative, essa contribuisce a costruire l’idea di ciò che è accettabile e di ciò che non lo è. Educare ai Diritti civili significa insegnare il valore del limite, della reciprocità, del consenso, della parola che sostituisce la violenza. Significa aiutare studenti e studentesse a riconoscere i segnali dell’abuso prima che esso venga interiorizzato come “normale”.

Il Coordinamento Nazionale Docenti dei Diritti Umani ribadisce che l’educazione alla parità e al rispetto non può essere confinata a interventi emergenziali o a progetti occasionali. Deve diventare una dimensione strutturale del curricolo, attraversare tutte le discipline e accompagnare la crescita degli studenti in modo continuo e coerente. Ciò richiede una formazione specifica dei docenti, il rafforzamento delle figure di supporto psicopedagogico e una chiara assunzione di responsabilità istituzionale.

La prevenzione della violenza di genere inizia molto prima dell’atto violento: inizia quando un giovane impara a dare un nome alle emozioni, a riconoscere il confine tra sé e l’altro, a non confondere il controllo con l’amore. In questo percorso, la scuola può e deve essere un presidio di umanità e di coscienza critica.

Ignorare questi dati significherebbe accettare che il silenzio continui a educare più delle parole. Ascoltarli, invece, è il primo passo per restituire alla scuola il suo ruolo più alto: formare cittadini consapevoli, capaci di relazioni libere, giuste e non violente.

prof. Romano Pesavento

Presidente Nazionale CNDDU

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