Stefania Poveromo, Cimento. Poesie del salto, Controluna, Roma 2025
Cimento di Stefania Poveromo è una raccolta poetica che incanta (e che sconcerta), per i suoi lampi (inattesi), all’interno di versi generalmente piani e narrativi.
Ho ricevuto un dono inatteso, e l’ho divorato con avidità, esattamente come fa un bambino con il gelato. Cimento di Stefania Poveromo è una raccolta poetica che incanta (e che sconcerta), per i suoi lampi (inattesi), all’interno di versi generalmente piani e narrativi. Per questo suo segreto, il sottotitolo, «Poesie del salto», è azzeccatissimo. Chi legge, infatti, di gitto, viene catapultato in alto, senza alcun preavviso, in una vertigine ammaliante. Proverò a isolare alcuni di questi “salti” (per lo meno, quelli che a me son parsi tali).
L’inverno
è l’ottimismo di dicembre
delle fiabe infantili
la visione straordinaria di ogni Capodanno
e poi il pessimismo adulto di gennaio
silenzio
lamento
solitudine
Sono i versi incipitari del proemio del libro (p. 13), che già fanno intendere a chi legge, che, anche in queste pagine, sta per accadere qualcosa di inconsueto, di non razionale, di fiabesco, appunto. Che si prepari alla «visione straordinaria» di Stefania Poveromo.
C’è stato un tempo in cui
un fazzoletto nella manica
offriva mille soluzioni
e un ombrellino nello zaino
ci dava sicurezza
Quindi, il risveglio amaro: la mancanza improvvisa di queste sicurezze, cioè, la mancanza, la latitanza degli «adulti», con l’amara consapevolezza, che però non suona come sconfitta, che «siamo cresciuti», e che, quindi, siamo noi, adeso, i nuovi «adulti». (p. 21)
Ho voglia di stendere il bucato
sui tetti che fumano per vizio
e non so se sia tiepida notte
o tepore di bucato fresco.
La vita che bussa, a dispetto del tempo, del calendario, e delle stagioni. La vita giunge improvvisa, e reclama la sua parte, senza chiedere permesso a nessuno, e infischiandosene delle (misere) certezze del mondo. (p. 25)
E dove me ne andrei
senza poesia
mei giorni disumani?
Questi tre soli versi, tratti da p. 33, valgono tutta la bellezza disarmante di questo libro, nella loro drammatica attualità. Il mondo abbrutito dalle guerre, e la gran parte dell’umanità che volge lo sguardo altrove. Poveromo precisa subito dopo che lei non intende la poesia come «rifugio», come riparo (dall’orrore delle guerre), come fuga, ma, al contrario, come resistenza, pur con mille asimmetrie.
Fa invidia ai morti
il canto primo degli uccelli
all’alba.
La condizione è quella dei giorni di pandemia (tutte le poesie di questa raccolta sono state scritte tra il mese di dicembre del 2020 e il mese di gennaio del 2022), con la «città svuotata» e quindi con la «divina indifferenza» degli uccelli (tanto per citare Montale, che, forse, è traccia velata di questi versi di Stefania). (p. 42)
E Cristo
corre corre corre
verso il materno grembo
e ognuno vuol riempire
quell’abbraccio
impacciato da una croce.
Immagine dolente (e straziante), espressa con grande potenza, del venerdì santo, con il Figlio che cerca la Madre (e viceversa). In molte poesie di Stefania Poveromo, si respira una sete di Dio, una lieve ma tenace ricerca della Fede, che è fatta di tante cose (di tradizione, di certezze, di bisogno, di speranza…). (p. 49)
Leggevo i libri
di cui non conoscevo la lingua.
Questi due versi, fulminanti come un odierno tweet, li ho trascritti da una poesia che ha l’andamento di un gioco, intorno a una presunta sensazione di stranezza che l’autrice percepisce di sé stessa, con qualche concessione al gioco del paradosso («Ho amato il silenzio / senza farne mai parola»). (p. 57)
Da bambina
tra le righe e i quadretti
mi sono persa
nei quadernetti,
superando i margini
ho violato gli argini
delle regole uguali
per tutti.
Ma noi non siamo «tutti». Questo Stefania lo sa. Per questo Stefania è insegnante, per accompagnare e sostenere tutti coloro che, ancora oggi, e sempre, tra i suoi alunni spauriti, andranno oltre gli argini. Elogio dell’«errore», elogio dell’andare al di là delle regole. Per questo, Stefania è poetessa. (p. 85)
Forse sulla luna
c’è chi ritroverà
…
Sul modello di Ariosto, dell’episodio di Astolfo sulla luna, tratto dall’Orlando furioso, Stefania compila un elenco delle cose smarrite sulla terra e radunate nel cielo della Luna, come, per esempio, la «ribellione gentile dell’ozio»; oppure, la «voglia di fischiare a tutto fiato». (p. 88)
Ognuno è quel che è.
Poi arriva
il cambiamento
La disarmante forza del tempo, che scompagina, che, di punto in bianco, arriva e azzera tutte le identità, annulla tutte le certezze, per obbligarti alla «rinascita». (p. 109)
La dedica d’apertura del libro di Stefania Poveromo è per papa Francesco, definito, a ragione, “il papa dei poeti”. Anche questa dedica suona bene, vista la Lettera apostolica che papa Francesco pubblicò nel mese di luglio del 2024, dedicata proprio al ruolo della letteratura, della poesia, della scrittura creativa, che si rivela capace di far conoscere meglio (e prima) l’animo dell’altro, finanche rispetto alla preghiera.