Il dilemma dell'educatore: se un preside chiede di pagare i danni delle occupazioni
Il caso Genovesi: dialogo invece della polizia. Risultato: famiglie e studenti che si trincerano dietro cavilli mentre il DS rischia di pagare lui il conto
Premessa doverosa: quello che segue è probabilmente nulla di più che un mio abbaglio interpretativo: leggo una vicenda e ci vedo uno schema. Ma non giurerei su nulla. Ninet’ altro che un'ipotesi di lettura. Forse viziata dal mio congenito sospetto verso le dichiarazioni di chi promette in pompa magna di esser pronto a "formare" le persone.
La vicenda è quella del Liceo Genovesi di Napoli e del suo Preside, Vittorio Delle Donne. Una storia che, se avessi capito bene quello che si legge tra le righe della cronaca, dimostrerebbe un paradosso scomodo.
Quale? Procediamo con cautela.
La vicenda, per come l'ho capita io (e ripeto: potrei aver capito male), sarebbe questa: un dirigente scolastico napoletano, una storia legata alla sinistra del vecchio stampo, decide di gestire un'occupazione studentesca con il dialogo anziché con la polizia. Parlamenta e si fida degli occupanti. Parla con loro e con cinque di questi ragazzi stringe un patto per consentire un’ occupazione che preservi la scuola, bene comune. Senonché qualcuno ruba degli iPad, qualcun altro rovina il parquet, altri imbrattano le pareti.
Il preside, allora, pretende che i patti vengano rispettati e chiede agli occupanti di contribuire a riparare i danni. I genitori rispondono con i cavilli procedurali.
Fin qui i fatti, o almeno quelli che mi pare di aver compreso leggendo la ricostruzione del giornali.
Facciamo finta che non abbia sbagliato, che sia andata davvero così.
Facciamo finta di aver colto nel segno e tiriamone le conseguenze fino in fondo.
Il famoso "ruolo educativo" della scuola — quello che ministri, pedagogisti e documenti ministeriali celebrano come missione quasi sacra — sarebbe una trappola. Non un pregio del sistema, ma un rischio per quegli ingenui che ci credono.
E la storia dimostrerebbe in maniera chiara cosa succede a chi la prende sul serio.
Il DS Delle Donne ha creduto nell'educazione come "rapporto tra persone". Nella scuola come "comunità". Nella fiducia come "fondamento". Parole che infestano i Patti Educativi di Corresponsabilità, i PTOF, le circolari ministeriali. Ci ha creduto davvero ed ha colto l’ occasione per mettere in pratica la teoria. Non sapeva che il suo sarebbe stato un errore fatale.
Perché nel momento in cui ha provato a incarnare quei valori, il sistema lo ha scaricato. Le famiglie — quelle stesse che firmano documenti pieni di "responsabilità condivisa" e "alleanza educativa" — si sono trincerate dietro i cavilli. Manca l'ordine del giorno. Non ci sono prove formali. Il Patto di Corresponsabilità, che loro stessi hanno violato nella sostanza, diventa sacro nella forma quando serve a scansare il conto.
Gli studenti — quelli che la scuola dovrebbe formare alla "cittadinanza consapevole" — hanno gridato alla persecuzione. Come se chiedere di rispondere di iPad rubati fosse un atto di repressione coloniale.
Accanto al fallimento per l’ “equivoco educativo”, Delle Donne rischia che ora lo Stato — quello che predica il "dialogo" e la "fiducia" — chieda proprio a lui conto dei danni, a mezzo Corte dei Conti. Avrebbe dovuto chiamare la polizia, sgomberare, denunciare. Seguire la procedura. Trasformarsi in burocrate.
Ecco la lezione vera, quella che il sistema impartisce al di là dei documenti ministeriali: non fidarti, non dialogare, non rischiare. Chi crede nell'educazione come missione rischia di trovarsi a dover pagare il conto da solo. Chi timbra il cartellino e chiama la polizia dorme sonni tranquilli.
E allora il "ruolo educativo" cos'è, in definitiva? Una promessa scoperta. Un miraggio che serve a reclutare idealisti, a far lavorare gratis la buona volontà, a riempire documenti che nessuno rispetterà quando costerà qualcosa rispettarli. Una bella facciata dietro cui tutti — famiglie, studenti, ministero — si tengono pronti alla ritirata strategica sui cavilli.
Delle Donne ha commesso l'unico peccato imperdonabile: credere alla retorica ufficiale. Ha pensato che "comunità educante" significasse qualcosa. Che "corresponsabilità" non fosse solo una parola nei moduli da firmare. Che la scuola fosse ancora, in qualche modo, una faccenda umana.
E intanto paga. Intanto è finito sui giornali come persecutore degli studenti e burocrate incallito, proprio per aver tentato di non esserlo. Fuori dalla scuola c’ è chi lo accusa di fare il gioco della destra al governo (!) e del sistema che non tollera la protesta. Paga perché i genitori preferiscono l'inerzia e gli studenti preferiscono l'impunità. Paga perché la verità è che il sistema preferisce i burocrati a chi prova a fare il maestro.
Una lezione utile per ricoprire adeguatamente quel ruolo. Niente fiducia. Niente dialogo. Niente patti verbali. Alla prima occupazione, polizia. Alla prima contestazione, denuncia. Le procedure saranno rispettate, le responsabilità erariali evitate, e la scuola sarà definitivamente quello che forse è sempre stata sotto la retorica: un ufficio pubblico dove si timbra il cartellino dell'istruzione e si impara soprattutto una cosa: che fidarsi è da fessi.
Vittorio Delle Donne, con la sua etica fuori tempo massimo, paga il conto di aver creduto alla favola del "ruolo educativo". E noi, se la mia lettura è giusta, dovremmo trarne l'unica conclusione onesta: quel ruolo educativo tanto celebrato più che un valore da difendere rischia di diventare un abbaglio da cui proteggersi. Con il rischio concreto per chi ci crede di rimetterci.