Innovazione o ipocrisia?

Arrivano tra poco anche le trenta ore di “orientamento”, naturalmente interdisciplinari, che vanno ad aggiungersi a quelle dedicate alla sedicente “educazione civica” (fondata non su una libertà delle...

A cura di Redazione
15 marzo 2023 22:22
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Arrivano tra poco anche le trenta ore di “orientamento”, naturalmente interdisciplinari, che vanno ad aggiungersi a quelle dedicate alla sedicente “educazione civica” (fondata non su una libertà delle conoscenze che permetta di affrontare in modo approfondito i temi della devastazione degli ambienti naturali e del pianeta, della veridicità delle informazioni e della comunicazione in rete, della questione politica dei diritti e doveri, della solidarietà, ma su una ricerca coatta e pretestuosa di legami tra tematiche che non c’entrano niente l’una con l’altra), che a loro volta si aggiungono a quelle perse per test INVALSI il cui scopo è sempre meno chiaro, per i PCTO, per progetti di ogni tipo, sempre più slegati da ciò che si impara o si dovrebbe imparare in classe. La squalifica dell’ora di lezione è evidente, il tempo sottratto alle discipline (senza le quali non è possibile alcuna vera interdisciplinarità) continua ad aumentare, il messaggio che si fa passare è chiarissimo: imparare i fondamenti delle discipline – alfabetizzazione compresa – non è una priorità, non è necessario. Poi, dopo il danno la beffa, arriva qualcuno con la diagnosi pro domo sua, pronto a partecipare al banchetto della ‘formazione’: a scuola si impara poco, viene detto, non perché non c’è il tempo di insegnare (in classi, tra l’altro, di trenta studenti e più, di cui nessun presunto esperto di metodologie parla) ma perché le metodologie sono “vecchie”, bisogna applicare le uniche valide [sottinteso: quelle che diciamo noi]; soprattutto, basta spiegazioni (quelle che gli studenti si aspettano dagli adulti), che sono “didattica trasmissiva”, basta riempire vasi ma fuochi da accendere ecc. ecc. E si propongono le ricette vecchissime e già ampiamente fallimentari di un’ “innovazione didattica”, ora anche in salsa digitale, paradossalmente imposta dall’alto e in astratto, senza tenere conto di nulla, se non di un certo narcisismo di chi si crede o vuol farsi credere “innovatore” a prescindere dagli studenti e dalle classi che ha (o non ha) di fronte, nella loro singolarità.

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