Lettera alla redazione: Da genitore, il divieto di Valditara sui cellulari in classe mi lascia un’amara sensazione
Perché vietare non è educare. Vietare significa ammettere che la scuola ha rinunciato alla sua missione educativa, scegliendo la scorciatoia più comoda per gli adulti: non ascoltare i ragazzi.

Da genitore, il divieto di Valditara sui cellulari in classe mi lascia un’amara sensazione.
Perché vietare non è educare. Vietare significa ammettere che la scuola ha rinunciato alla sua missione educativa, scegliendo la scorciatoia più comoda per gli adulti: non ascoltare i ragazzi.
Eppure sono proprio loro a chiederci di imparare a usare la tecnologia in modo sano e consapevole, perché sarà parte della loro vita in ogni ambito.
C’è poi un enorme paradosso: iPad e PC restano ammessi per scopi didattici… dispositivi che permettono esattamente le stesse cose di uno smartphone, inclusi social e chat. Con una differenza: lo smartphone ce l’hanno tutti.
Molte famiglie non potranno mai permettersi un tablet o un computer, soprattutto quelle che frequentano scuole che non hanno dotazioni per tutti. Il divieto diventa così una misura che penalizza ancora di più chi parte già svantaggiato. Una misura, in fondo, classista.
Se la scuola abdica al compito di insegnare a gestire lo strumento che più di tutti accompagna i ragazzi nella loro vita, allora chi lo farà?
Educare è faticoso, richiede tempo, ascolto e coerenza. Vietare è più semplice. Ma non è questo che ci aspettiamo da chi ha il compito di prepararli al futuro.
Serve educare. Non vietare.