Rivoluzione si, ma senza rischi: la protesta che odia i voti ma si tiene il diploma
Studenti protestano contro i voti alla maturità ma non rinunciano al diploma. Ribelli sì, ma senza rischi e con hashtag garantito.

E così siamo arrivati a vedere pure la protesta degli studenti che chiedono di essere promossi con il minimo sindacale. Se non e’ cento, spiegano gli arditi rivoltosi, fermatemi pure al sessanta. Precisando che “non sono il mio voto”.
Una rivolta che in un’epoca attenta al rumore che fanno le cose piú che alla sostanza, sembrerebbe suonar bene. Se non fosse che piú che alla contestazione giovanile, sembra di assistere ad una sitcom pensata per lo streaming.
Cosa non convince? Dopo dieci e passa anni a inseguire numeri sul registro, voti sul compito, pagelle firmate perfino dai genitori, il rito finale della valutazione sembra ora improvvisamente un sopruso intollerabile. Il che giá sarebbe curioso, ma diventa grottesco nel constatare come nessuno dei novelli companeros ha mai detto di voler rinunciare al diploma. Eh giá, perché il 'pezzo di carta' alla fin fine lo vogliono tutti! Gli basta che non abbia quel fastidioso voto finale stampato sopra. Insomma, un po' come il dessert senza calorie...
Questa strana protesta, che ha guadagnato notorietà sui social e qualche passaggio nei talk show, ottiene però soprattutto l'effetto di un sorriso rassegnato. Non tanto per l’ingenuità evidente, quanto per il grosso equivoco che rivela sul senso stesso di come si protesta al nostro tempo. La protesta social, quella che sfida il sistema con parole terribili e roventi, confidando di non subirne alcuna conseguenza protetto da anonimato e distanza. Il sogno di chi deve sfogarsi: protestare senza essere puniti. Un cortocircuito paradossale che lascia francamente sconsolati.
Il fatto e’ che le proteste non violente vere, quelle incisive rimaste nella storia per averla cambiata, funzionano esattamente al contrario: chi protesta cerca esplicitamente la punizione per mostrare al mondo l’ingiustizia senza veli.
Marco Pannella, per citarne uno che se ne intendeva ma che magari oggi non dice molto ai maturandi del 2025, distribuiva marijuana in piazza e correva a costituirsi in questura pretendendo schedatura e perfino l’ arresto dagli imbarazzati agenti, denunciando così la follia di uno Stato incapace persino di applicare le proprie leggi evidentemente sbagliate.
Oggi, invece, la protesta giovanile, ma anche quella piú agee, da’ per scontata la pretesa di immunità. Finisce cosi’ che una generazione cresciuta sui social voglia contestare il sistema scolastico ma chieda che il sistema stesso non prenda troppo sul serio la protesta. Una rivoluzione senza veri rischi, e perció senza veri risultati; che al massimo può generare qualche hashtag divertente o qualche meme virale.
Non fraintendiamoci però: il sistema scolastico avrebbe bisogno di una revisione radicale, perché inseguire voti e giudizi ha perso ogni senso. Non fosse altro che ormai il "sei" è vissuto quasi come una bocciatura e per un "otto" mancato si rischiano drammi domestici che neanche Shakespeare.
In una scuola che boccia meno dell’uno per cento degli allievi, protestare per non essere valutati ma volendo comunque essere promossi è quasi una gag involontaria, come correre una maratona chiedendo di partire direttamente tutti dal traguardo.
Si ha l’impressione che nessuno voglia davvero rischiare nulla. Tutti che puntano al massimo a qualche applauso sui social, i loro quindici minuti di visibilità e poi via, diretti all’estate. Con in tasca il diploma ma rigorosamente senza voto. A tutela dell’anonimato e della distanza appresi sui social…