Una storia come tante... ma che pochi raccontano: "rinuncio al ruolo"

riceviamo e volentieri pubblichiamoSono una docente di scuola secondaria di primo grado. Svolgo questo mestiere da non molto tempo, dall’a.s. 20/21, dopo diversi anni nel privato. Non ho alle spalle u...

A cura di Andrea Meloni
15 settembre 2023 14:20
Una storia come tante... ma che pochi raccontano: "rinuncio al ruolo" -
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riceviamo e volentieri pubblichiamo


Sono una docente di scuola secondaria di primo grado. Svolgo questo mestiere da non molto tempo, dall’a.s. 20/21, dopo diversi anni nel privato. Non ho alle spalle una lunga esperienza da precaria quindi, nonostante io abbia già 45 anni, ma è stata proprio la mia “maturità” a farmi venire voglia di tentare una strada nuova.

Quando nel 2017 lessi le prime notizie sugli “imminenti” Concorsi Ordinari, ebbi l’ardire di pensare che portare un po’ della mia esperienza acquisita nel mondo lavorativo là fuori sarebbe stato utile alle nuove generazioni e sarebbe stato arricchente per me confrontarmi con loro.

Decisi quindi di intraprendere il lungo percorso per raggiungere questo obiettivo e ripresi in mano tutti i libri. Prima per i 24 CFU, poi le certificazioni informatiche, corsi e testi di varia natura e dopo ben sei anni, cinque Governi e una Pandemia dal giorno di quell’annuncio, svolsi finalmente le prove concorsuali, superandole e piazzandomi a circa metà graduatoria. Un percorso lungo e tedioso, considerando la lentezza con cui fu svolto, ma che portai avanti con perseveranza e fiducia in me stessa, fino a che non mi crollò tutto addosso questa estate con le prime convocazioni.

Ricevetti una proposta da surroghe presso una cattedra dell’entroterra di montagna della mia provincia, a circa 50/60 km da casa. Una distanza che avrei potuto accettare in altre condizioni ma che mi risultava fisicamente insostenibile trattandosi di complicate e lunghe strade di montagna, spesso difficoltose e rischiose durante l’inverno, e che avrei dovuto percorrere avanti e indietro tutti i giorni. Una cattedra su quattro plessi, alcuni molto distanti fra loro e isolati, e sul quale non avrei avuto informazioni riguardo ai miei movimenti fino al giorno della firma. Anche sui giorni settimanali non avevo certezze perché potevano comprendere anche lunghi pomeriggi e sabati, dato che i plessi nei Comuni isolati aveva orari molto particolari. In sostanza avrei dovuto accettare a scatola chiusa una situazione che era per me già insostenibile nella migliore delle ipotesi.

L’idea del trasferimento in quei comuni così isolati non mi risultava fattibile per ragioni famigliari che non sto qua a spiegare, e non avendo neanche la garanzia di poter rientrare nei week-end le incognite erano davvero troppe e la certezza che a causa del mio basso punteggio non sarei riuscita a spostarmi per chissà quanti anni era praticamente matematica.

Decisi dopo dieci giorni difficilissimi di rinunciare al ruolo, pur sapendo che stavo bruciando un percorso lunghissimo in un attimo. Tuttavia credo di aver scelto con coscienza, riflettendo molto e informandomi su tutte le variabili.

Non volevo prendere una decisione avventata e guidata dalla paura ma dalle mie reali possibilità. 

Nonostante questo mi rimane una profonda amarezza nel constatare di aver dovuto buttare tutto al vento, senza altra scelta, né indicazioni più precise sulla mia reale collocazione, considerando che anche il Dirigente Scolastico avrebbe preso servizio il mio stesso giorno.

Mi chiedo che senso abbia questo modo di assegnare incarichi nel 2023.

Dov’è l’evoluzione in un algoritmo che non sa chi sei? Né cosa puoi fare, e che alla fine fa perdere anche il senso di una graduatoria di merito. E’ tutto molto più simile ad una lotteria in verità.

Se questo sistema è quello che dovrebbe garantire stabilità al sistema scolastico mi sembra profondamente inefficiente, perché non si crea stabilità in questo modo ma si creano solo insegnanti scontenti di aver abbandonato famiglie o stanchi dei difficili e lunghi viaggi giornalieri.

Come potranno queste persone avere le energie sufficienti, fisiche e psicologiche per fare al meglio il loro lavoro? Un mestiere così delicato che ha il compito di trasmettere conoscenze, valori ed empatia alle nuove generazioni.

Mi sono chiesta se il mio “posto fisso” valesse questo, se sarei stata davvero una buona insegnante in una situazione che sapevo già di non poter sostenere a lungo.

La risposta è stata NO, almeno… non IO. Ho profonda stima per coloro che ce la fanno, che hanno le risorse personali per riuscirci, ma credo sarebbe meglio iniziare a tener presente, in nome di questa “accettazione della diversità” così sbandierata oggi, che non possiamo essere poi appiattiti da burocrazie che ci trattano come meri numeri da spostare su una tabella di caselle vuote.

E forse il “Si è sempre fatto così” non è più una ragione sufficiente.

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