Vincenzo Schettini: Educare ai social è un dovere degli adulti
Non lasciamo i ragazzi da soli nel digitale
Grazie, professore, per aver accettato questa intervista. Partiamo dal concetto che ha più volte ripetuto: che lo smartphone e i social possono trasformarsi in una vera e propria «dipendenza».
I social, una DROGA RAGAZZI salvatevi!
Quando l’uso dello smartphone smette di essere uno strumento e diventa una dipendenza rischiosa per i giovani?
L’uso dello smartphone diventa una dipendenza quando smetti di gestire lo strumento e inizi a esserne dominato. E questo non riguarda solo i giovani, ma tutti. Lo smartphone è utilissimo, è uno strumento versatile e fa parte della nostra vita quotidiana. Il problema nasce quando da semplice passatempo diventa qualcosa che ti intrappola, che ti ruba tempo e attenzione, e soprattutto quando non riesci più a farne a meno. Lì non è più uno strumento: è una dipendenza.
Qual è il ruolo della famiglia e della scuola nell’educazione digitale e nella gestione della “dose digitale” quotidiana?
Il ruolo della famiglia e della scuola deve essere simmetrico: devono lavorare insieme. Nessun ragazzo può crescere senza regole chiare, e queste regole devono partire da casa. A scuola, con la nuova legge, l’uso degli smartphone è vietato: qualcuno prova comunque ad usarlo di nascosto, ma la situazione è molto migliorata. Tuttavia proibire non basta: bisogna parlarne. Specialmente alle medie i ragazzi non hanno ancora gli strumenti per gestire il digitale da soli. Se nessuno dà loro delle regole, come possono imparare? È come quando da piccoli giocavamo ai videogiochi: senza limiti avremmo passato tutto il pomeriggio davanti allo schermo.
In che modo i social influenzano la costruzione dell’identità dei ragazzi?
Totalmente. I social hanno un impatto enorme sulla loro identità. Oggi ci si fidanza su Instagram, si fanno amicizie, si formano gruppi e purtroppo si praticano anche forme di esclusione e bullismo digitale. Se una ragazza non ha mille follower viene giudicata una “sfigata” e rischia di essere esclusa. Nei gruppi classe circola di tutto e chiunque può essere preso di mira. I social dicono ai ragazzi cosa è di moda, cosa comprare, cosa è “giusto” fare. Per loro è tutto normale perché non hanno conosciuto un mondo senza social: non hanno termini di paragone.
Limitare o vietare gli smartphone in classe è una soluzione efficace o solo uno spostare il problema?
Secondo me è una soluzione utile, almeno in parte. Non risolve definitivamente il problema della dipendenza digitale, ma è un passo avanti enorme rispetto al caos degli anni scorsi. Fino all’anno scorso a scuola era un disastro: telefoni sempre in mano, anche durante le lezioni. Ora, almeno, chi vuole usarlo deve farlo di nascosto. È già un cambiamento culturale. Che questa sia la soluzione definitiva non lo so: lo dirà il tempo. Ma per ora, dopo i primi due mesi nelle mie classi, noto più attenzione, più dialogo e meno distrazioni.
Quali strategie propone per educare i ragazzi a un uso sano e consapevole dei social?
Prima di tutto: limitare il tempo di utilizzo. Poi far capire che avere pochi follower non significa valere meno di chi ne ha diecimila. Bisogna parlarne apertamente: i ragazzi devono capire che i commenti negativi e i giudizi online provengono spesso da persone che nemmeno li conoscono. Che valore hanno? Diverso è il consiglio di un amico vero: quello sì che conta.
Un altro punto fondamentale è fare esperienza nella vita reale: chi vive costantemente online rischia di non fare esperienza, e senza esperienza non si cresce. Lo diceva anche Leonardo da Vinci: prima viene l’esperienza, poi la conoscenza. La vera via d’uscita? Innamorarsi: del sapere, della scuola, di un insegnante che ti ispira. Non devono piacerti tutti i professori, ma almeno qualcuno deve accenderti qualcosa dentro: quella è la chiave.